Fabrizio Silei è tante cose, per noi è difficilissimo dare una definizione univoca per il suo lavoro. E' un cantastorie, uno scrittore fantastico per ragazzi, un creativo, come lui stesso si
definisce. Ma da questa intervista potrete capire tante cose. Buona lettura.
Caro Fabrizio
Da qualche settimana è uscito per Salani il tuo nuovo romanzo per ragazzi, “Se il diavolo porta il cappello”. Come tua consuetudine affronti temi
importanti e universali e attraverso la storia di Ciro, ragazzino del dopoguerra, parli anche della grande storia. Ci vuoi raccontare come è nato questo tuo romanzo?
Sì, hai perfettamente ragione, in questo romanzo, Se il diavolo porta il cappello, si intrecciano molte storie e vi si affronto diversi argomenti. E’
un romanzo d’avventura e di formazione, un romanzo che parla di dopoguerra e di attesa, di gemelli e di fratellanza, di lutto, di memoria, ma anche di zingari e di pregiudizio. L’elenco
potrebbe allungarsi di molto, ma sono tutte considerazioni che in me nascono a posteriori, quando analizzo la storia come lettore. Come scrittore, invece, sono sempre molto in difficoltà quando
mi si chiede come nascono le mie storie. Semplicemente arrivano, si formano man mano che scrivo e vi confluiscono dentro i miei interessi di un certo periodo, le mi ansie e le mie paure, ma anche
le mie speranze. Ciò che vorrei dire e non so dire in nessun altro modo se non in questo: raccontando una storia.
Una parte importante in questa storia ce l’ha un popolo, che tutti conosciamo poco, gli zingari. Perché hai scelto di renderli protagonisti di un romanzo
e che ruolo ha questa gente nella tua vita oggi? Ti ho sentito parlare di loro recentemente e, devo dire, che le tue parole mi hanno colpita e coinvolta.
Per tanti anni mi sono occupato di Shoah, e di ex internati militari, ma gli zingari anche per me erano sempre una voce fra le “altre ed eventuali”, come i
testimoni di Geova o gli omosessuali. A un certo punto incontrandoli ho capito che oggi come ieri gli zingari rappresentano l’Altro per antonomasia, che mettono alla prova la nostra capacità di
vivere con l’Altro e di comprenderlo più di ogni altro gruppo etnico. Approfondendo la questione ho scoperto la loro storia, il prezzo altissimo che queste popolazioni hanno pagato sempre e
specialmente durante il nazismo: si calcolano di più di mezzo milione di zingari trucidati dai nazisti. Ho approfondito e scoperto anche che cosa era accaduto ai gemelli zingari finiti nelle
grinfie del maledetto dottor Mengele. Era una storia terribile, che in qualche modo dovevo raccontare, che i nostri ragazzi devono conoscere e non solo loro.
E poi è una storia che non è finita, ancora oggi gli zingari che vivono nei campi per la nostra società sono fuori dalla comunità umana, a loro si negano diritti
fondamentali come l’elettricità e l’acqua, l’istruzione. Insomma sono discriminati, sono incomprensibili, su di loro albergano pregiudizi terribili. Nessuno di noi ha un amico zingaro, in pochi
difenderebbero uno zingaro maltrattato dalla polizia. Recentemente a Sassari ho lavorato in classi con dei bambini rom con i miei laboratori creativi. Le insegnanti si sono meravigliate della
loro partecipazione al gioco e della loro bravura. La mia strategia? Semplicemente li ho trattati come gli altri bambini, non una carezza o un sorriso in più, non uno in meno. Nessuna etichetta
preventiva, sono stati bravissimi come molti altri bambini “con problemi” dei quali non mi sono accorto. A volte, solo a volte, dipende da come si impostano le relazioni e il problema sta
negli occhi e nel cuore di chi guarda.
Ora voglio parlare un po’ di te e del tuo lavoro, anzi desidero che tu, che sei un cantastorie meraviglioso, racconti ai nostri lettori chi sei e cosa fai
e soprattutto quali sono i messaggi che vuoi far passare attraverso i tuoi libri, i tuoi racconti e la tua arte.
E’ una domanda enorme, forse anche scorretta, nel senso che non sono io a dover spiegare o trovare messaggi all’interno di ciò che faccio e racconto. Io racconto
e basta, le storie che secondo me vale la pena raccontare, che riguardano ciò che mi tocca e mi coinvolge sin da quando ero molto piccolo o che mi diverte.
Come autore mi dicono che parlo spesso di storia, di razzismo, di pregiudizio. Bisogna esser stati molte volte ultimi per raccontare dal punto di vista degli
ultimi e io lo sono stato spesso. Qualcuno mi ha fatto notare che in molti dei miei libri c’è una domanda che interroga il lettore: “Cosa faresti tu al posto del protagonista che sei diventato
leggendo?” E’ vero, mi chiedo continuamente cosa avrei fatto io se la Storia mi avesse portato a dover spingere donne e bambini nelle camere a gas, è una domanda insopportabile, alla quale non si
può rispondere, si può solo sperare di avere abbastanza coraggio per fare la cosa giusta quando dovessimo trovarcisi. Di riconoscere l’autobus della Storia che passa e non perderlo, come succede
al nonno di Ben nel mio libro “L’autobus di Rosa”. Un nonno che non è Rosa Parks, ma ha il coraggio della memoria e di chiedere scusa, uno di noi, un eroe non eroe.
I miei libri creativi invece, quelli per i più piccoli, ragionano assolutamente sulle stesse questioni, ma dal punto di vista dei fondamentali. Mi piacciono i
libri che iniziano quando finiscono. Che trasformano il bambino in un creatore felice e in un narratore a sua volta e non in un consumatore di storie o di giochi rigidi con le istruzioni per
l’uso. “C’era una volta…”, “L’inventastorie,” “L’invenzione dell’ornitorinco” e tanti altri nascono con questa filosofia di fondo.
Sentirti raccontare è un’esperienza bellissima, sei un vero cantastorie, e insisto su questo concetto. Se ho capito bene, anche tu ami particolarmente
questa parte della tua vita. Allora voglio sapere come è nato quello splendido libro/oggetto che è“L’inventastorie”. Vuoi spiegare ai nostri lettori di che cosa si tratta?
Io vengo dalle storie che mi raccontava mia madre, una contadina con la terza elementare, ma formidabile. Storie di guerra, fiabe terribili, apprese nei focolari,
dai vecchi analfabeti che, tuttavia, recitavano Dante e l’Ariosto a memoria, La Pia dei Tolomei, le storie di fantasmi, i contrasti in ottava rima. Quel mondo dell’oralità precipita spesso nei
miei libri, mi affascina, ci sento le mie radici. Con il teatro d’animazione e di narrazione, dei burattini e delle marionette che ho praticato per anni con mia moglie ho imparato il racconto in
presenza, teatrale, sciamanico, i tempi della narrazione. Ancora oggi ci sono storie che racconto soltanto e altre che scrivo. Sono due cose diverse con magie differenti.
L’inventastorie è un tentativo di costruire una macchina della fantasia con la quale, attraverso un oggetto artistico, di design e di grafica, si potesse istigare
gli insegnati e i genitori a recuperare la funzione educativa per eccellenza, quella del raccontare e insegnare a raccontare e quella del giocare imparando. Io bambino raccontando sperimento
altri mondi, mi metto nei panni degli altri, gestisco emozioni, prendo decisioni, imparo. E’ un omaggio a “La grammatica della fantasia” di Gianni Rodari, e a una stagione virtuosa della scuola
italiana che sembra essersi un po’ dimenticata fra prove di comprensione e routine non sempre virtuose. Si tratta di sei personaggi in cerca di autore con scenari e oggetti che si ibridano
all’infinito dando il La a centinaia di possibili storie. C’è anche un albo con alcune storie scritte da me utilizzando questo congegno 3D, interamente touch e multilingue. Ci sono puoi anche le
D-ISTRUZIONI PER IL LAB-USO.
Hai avuto difficoltà a trovare un editore sensibile verso questo tuo progetto?
Molte difficoltà. Ma sono stato fortunato. Devo ringraziare l’editore di FATATRAC Stefano Cassanelli che ha subito capito il progetto e la splendida Elena Baboni
con la quale lavorare è un vero piacere. Si tratta di un cofanetto prezioso e bellissimo con alti costi di progettazione e di produzione, tantissimo lavoro da parte mia e dell’editore che, come
me, voleva mantenere un prezzo accessibile e popolare. Insomma, un piccolo miracolo italiano. E sta andando molto bene, tutti lo vogliono ed è in tutte le librerie.
“L’autobus di Rosa”, solo due parole da parte tua.
Una storia a cui devo molto, anche qui un “piccolo” grande editore, Orecchio Acerbo, e un gruppo di lavoro straordinario: Fausta Orecchio, Simone Tonucci, Paolo
Cesari insieme a un grande compagno di viaggio, l’illustratore Maurizio Quarello per le immagini. L’idea del racconto mi è nata pensando che mentre in America si eleggeva Obama in Italia si
parlava di proposte del tipo: autobus per soli milanesi e le classi per soli bambini immigrati. Paradossale, proposte che puzzavano di segregazionismo, pensare a Rosa è stato naturale. Ma questa
storia che non è solo quella di Rosa Parks, dell’eroina, ma anche quella di Ben e suo Nonno, di chi su quell’autobus c’era e si alzò come tutti i giorni precedenti. Di una persona normale come
noi, ma infine consapevole e pronta a fare memoria e chiedere scusa al nipote. Questo albo ci ha dato grande soddisfazione, premi, segnalazioni e traduzioni in molti Paesi, uno spettacolo
teatrale, un’animazione in Germania. Insomma un libro che amano in molti.
Non si dovrebbe mai chiedere ad uno scrittore qual è il suo “figlio” prediletto, tuttavia desidero sapere se tra i protagonisti dei tuoi libri e delle
storie che racconti a voce, ce n’è uno che ami in modo speciale?
E’ sempre l’ultimo a cui si sta lavorando il libro che si ama di più, ma un posto speciale nel mio cuore ce l’hanno Bernardo e l’angelo nero, L’autobus
di Rosa, Il bambino di vetro… altri in uscita, anche se a ben pensare ognuno dei miei libri è comunque come un figlio, un momento della vita, un passo avanti nella scrittura, che è
difficile dimenticare.
Caro Fabrizio le domande sarebbero tantissime, ma mi fermo qui e ti lascio con una richiesta: un messaggio per i nostri piccoli e giovani
lettori.
Se capitate a Pescia vicino Collodi provincia di PT, in via San Romualdo, numero 1, venite a trovarmi nel mio Atelier: ATELIER L’ORNITORINCO. Fra libri, colori,
sculture, burattini, marionette e giochi ci divertiremo. Consigli? Da vecchio bacucco profetico? Che dire: cercate di capire qual è la vostra grande passione nella vita e cavalcatela. Cavalcare
il proprio demone è l’unico modo che ho scoperto per non essere cavalcato dai demoni che ci circondano e vorrebbero distruggerci o fare di noi molto meno di quanto, invece, possiamo
essere.
Grazie Anna
Grazie a te. A presto. Fabrizio