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19 aprile 2013 5 19 /04 /aprile /2013 09:29

La Fiamma di Altea sembra non esista più. Ma è davvero così?

Forse c'è ancora una speranza. Forse la Fiamma è semplicemente nascosta e attende di essere trovata. Ma da chi? Già, perché sono almeno due le fazioni che vorrebbero poter mettere le mani su quel fuoco magico. La prima è comandata dall'Arconte di Altea, che la vuole per poter realizzare il prezioso siero che lo rende quasi immortale. La seconda è capeggiata da due persone insospettabili, che conoscono segreti legati al passato del paese e che vorrebbero ridonare felicità e speranza al popolo. Ed è a questo secondo gruppo che i due giovani protagonisti aderiranno.

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Il fuoco segreto di Altea è una saga di avventura e fantasia. Uno steampunk per giovani lettori che mescola invenzioni bizzarre e coloratissimi animali. Tra trappole, fughe, scoperte e meraviglie, Ailan e Marill sono chiamati a diventare la speranza di una città sempre più grigia e triste, che non sa più vivere serenamente. Solo loro sembrano in grado di poter riportare la Fiamma, e quindi la felicità, a casa. Ci riusciranno?

Tra amicizia, tecnologia e magie... l'avventura è appena cominciata!

 

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15 aprile 2013 1 15 /04 /aprile /2013 22:49

Imbocca la valle a passo deciso, Bárður è morto.
Ha letto una poesia ed è morto di freddo.
Ci sono poesie che ti portano in luoghi dove le parole non arrivano, e neanche i pensieri, ti portano dritte all’essenza stessa, la vita si ferma per lo spazio di un istante e diventa bella, limpida di rimpianti e di felicità. Poesie che ti cambiano la giornata, la notte, la vita. Poesie che ti portano a dimenticare, a dimenticare la tristezza, la disperazione, ti dimentichi la cerata, il gelo si impadronisce di te, preso! E sei morto. Chi muore si trasforma immediatamente in passato.


cop-copia-3Era negli anni in cui probabilmente eravamo ancora vivi. La frase con cui inizia il breve romanzo Paradiso e Inferno di Jón Kalman Stefánsson, definito uno dei migliori romanzi islandesi degli ultimi anni, sembra uscita da una Spoon River dei ghiacci, il racconto di coloro che sono ‘quasi tenebra’ e a cui restano solo i ricordi, che peraltro si stanno affievolendo. Ti parleremo di gente che viveva ai nostri giorni, più di cent’anni fa - ed infatti, come unico riferimento temporale, troviamo, ad un certo punto, la notizia di un romanzo appena pubblicato da Zola, di cui sono state vendute centomila copie. Un numero che pare esorbitante in un paese così scarsamente popolato come è l’Islanda e ancor più nel villaggio di pescatori dove vivono i personaggi di cui quei ‘noi’ che sono la voce narrante ci parleranno. 
Un uomo adulto, l’aitante Bárður, e il ragazzo il cui nome non ci viene mai detto sono amici. Forse il ragazzo, che ha perso prima il padre quando aveva sei anni e poi la madre e la sorellina, vede in Bárður un appoggio, una figura a metà tra amico, fratello, padre. Hanno in comune la passione della lettura, l’amore per le parole che risuonano come musica in orecchie in cui echeggia solo il fragore del mare. Bárður sta leggendo una traduzione del poema di Milton, Il paradiso perduto. Glielo ha prestato un vecchio capitano cieco che ha una libreria con ben quattrocento libri. Bárður è incantato dalla lettura. È stregato da quei versi. Legge, Nulla mi è delizia tranne te, e pensa alla fidanzata. Legge fino all’ultimo minuto prima di rispondere alla chiamata per uscire con la barca in mare. E scorda di prendere la cerata da infilarsi sul maglione. Una dimenticanza fatale per chi esce a pesca sul mare Artico. Tanto più che il tempo cambia, la tempesta di neve sorprende i pescatori al largo. Bárður morirà di freddo, senza che il ragazzo possa fare nulla per salvarlo: sarebbe inutile cedergli la sua, di cerata. Non gli va bene di misura, sarebbero in due a morire.

Le parole chiave di questo intenso romanzo sono il mare, descritto nel suo aspetto più brutale, ma soprattutto la lettura, intesa come strumento di liberazione dell’uomo dalla sua condizione arcaica: la lotta fra uomo e natura si gioca soprattutto conquistando la parola:

“Le parole possono avere il potere dei troll e possono abbattere gli dei, possono salvare la vita e annientarla. Le Parole sono frecce, proiettili , uccelli leggendari all’inseguimento degli dei, le parole sono pesci preistorici che scoprono un segreto terrificante nel profondo degli abissi, sono reti sufficientemente grandi per catturare il mondo e abbracciare i cieli, ma a volte le parole non sono niente, sono stracci usati dove il freddo penetra, sono fortezze in disuso che la morte e la sventura varcano con facilità”

E' sufficiente questo brano del libro a valutare la grande capacità di narratore di Stefànsson, la cui prosa è ricca di metafore che mettono insime i due mondi che sembrano stargli a cuore: quello della tradizionedell'Islanda e delle sue caratteristice sociali, economiche, di costume, e quello del'intellattuale che attribuisce ai libri e alle parole scritte la possibilità di salvare gli uomini e di decretarne la fine.

 


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Jón Kalman Stefánsson (Reykjavík, 1963), ex professore e bibliotecario, è passato alla narrativa dopo tre raccolte poetiche. I suoi romanzi sono stati nominati più volte al Premio del Consiglio Nordico e pubblicati dalle più importanti case editrici europee. Luce d’estate ed è subito notte, di prossima pubblicazione da Iperborea, ha ricevuto nel 2005 il Premio Islandese per la Letteratura.Paradiso e inferno è stato definito il miglior romanzo islandese degli ultimi anni.

 


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12 aprile 2013 5 12 /04 /aprile /2013 17:23

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In dialogo con Valeria Sandri

La prof.ssa Annalisa Castagna insegna italiano e storia all’ITI Marzotto ed è alla sua quinta opera di narrativa dopo “Profumo di Maresina”, “Come le ciliegie”, “Il canto del tempo” e “Il cancello della memoria”. Appassionata di storia del ’900, in particolare della 1° Guerra mondiale, ha scritto numerosi articoli e volumi a tema storico, ricevendo riconoscimenti in diversi premi nazionali.

Una recensione del libro può essere letta a questo indirizzo:
http:// omniavulnerant.over-blog.it/

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4 aprile 2013 4 04 /04 /aprile /2013 09:00

Alice è ormai diventata una creatura mitologica.
E' stata in grado di 'superare' il suo stato di libro Classico (e già diventarlo è un'impresa), arrivando ad essere qualcosa di più. Non solo è conosciuta da grandi e piccini di tutto il mondo, non solo è una grande storia di avventura e fantasia, ma è anche un insieme di giochi linguistici e di 'perle filosofiche'. Ha ispirato l'arte in tutte le sue forme, dal cinema, ai videogiochi, alla musica, alla pittura.
Chi non conosce il cartone della Disney? E come spiegare il successo di uno degli ultimi film di Tim Burton, Alice in Wonderland appunto, che travolse il botteghino mondiale superando il miliardo di incassi e diventando l'undicesimo film più visto della storia? E cosa dire quando si scopre che persino Dalì si è dedicato ad illustrare una sua Alice?

Il bello di questa storia è il suo poter cambiare. Chiunque la legga ne potrà trarre conclusioni differenti e scoprirci qualcosa di nuovo. Alcuni si divertiranno nel trovarsi immersi in una semplice avventura per bambini, altri rifletteranno su ogni singola frase.
Anche gli illustratori che si approcciano al capolavoro di Lewis Carroll vedono e sentono cose diverse, e due ottimi esempi li trovate da noi in libreria.

alice dautremer 1Il primo è un volume di grande formato pubblicato da Rizzoli e magnificamente illustrato dal tratto elegante e mai banale di Rebecca Dautremer.

La Dautremer sfida Caroll stesso e propone un'Alice dal caschetto nero, in omaggio a quell'Alice Liddell che ispirò il reverendo Dodgson. Strane creature, sorrisi di gatto e gambe lunghe creano l'ennesimo capolavoro dell'illustratrice francese.

alice dautremer 2

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Il secondo volume è invece più particolare. Il formato è più piccolo rispetto al precedente e lo stile è completamente diverso. Ad Illustrare Alice, in questo caso, troviamo una delle più grandi artiste giapponesi viventi, Yayoi Kusama.


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Il risultato è una serie di illustrazioni in cui risaltano i pois e i colori accesi, in cui le figure si fanno psichedeliche e riassumono i tratti distintivi dell'artista. Un'artista che, ricordiamo, è esposta, tra gli altri, al Museum of Modern Art di New York e alla Tate Modern di Londra, e che è stata omaggiata persino da Louis Vuitton che ha usato i suoi pois per creare una linea d'abbigliamento.

Insomma, un vero pezzo d'arte, edito da Orecchio Acerbo.

 

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3 aprile 2013 3 03 /04 /aprile /2013 10:20

978-88-07-17251-9.jpgC'è un modo unico per essere mamma? Un modo giusto? Un modo... perfetto?

No, non c'è. Ma c'è una società, quella in cui viviamo, che cerca di far credere il contrario.

Nel suo nuovo libro, Loredana Lipperini cerca di rappresentare l'attuale situazione Italiana, ma non solo, riguardante le mamme e/o le future mamme. Il quadro finale è tutto fuorché rassicurante.

Tra le 'adepte' del ritorno alla natura, dove l'allattamento ad oltranza e il dolore sono un must, e la 'congrega' dei genitori a tempo pieno, una futura mamma, ma anche un futuro papà, si ritrovano a doversi adattare a un'immagine stereotipata, e forse antica, che riduce la genitorialità a un percorso quasi obbligato, pena l'essere considerati pessimi, inadatti e reietti.

A questo va poi aggiunta la particolare condizione socio-culturale italiana, che spinge verso un certo tipo di famiglia, senza però mettere a disposizione delle future famiglie i giusti mezzi per esserlo, come asili, leggi, cc.

Con testimonianze, dati, analisi, citazioni e pensieri, Lipperini costruisce un saggio che, più che della genitorialità in sé, parla della libertà di essere mamma. Anzi, della libertà di poter essere la mamma che si vuole. Perché quello che ci manca è proprio questo. Ci manca il poter scegliere come e dove partorire, ci manca il poter decidere il come e il quanto allattare il neonato, ci manca il poter decidere di continuare o meno a lavorare... mancano molte cose, alcune per colpa dello stato, altre per colpa nostra, perché a volte non sappiamo aprire gli occhi.

Leggendo "Di mamma ce n'è più d'una" si potrà essere d'accordo con l'autrice o storcere il naso, ma di certo non si mancherà di riflettere su dei concetti che stanno alla base di una società civile e che dovremmo tutti saper e poter affrontare.

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24 marzo 2013 7 24 /03 /marzo /2013 13:43

 

KLIUzDggp2Q8 s4-mGli occhi dei bambini sono laghi animati dai sogni. I più piccoli non sanno parlare, ma ugualmente comunicano con uno sguardo disarmante che ti penetra e folgora la parte di te che è stata come loro: innocente, pura. Perché i bambini sono puri: ancora non li abbiamo contaminati con i nostri desideri, con le passioni, con i bisogni…con quei vuoti da riempire a tutti i costi, senza badare al come, al perché…

I bambini no, loro non fanno così: hanno la speranza davanti, hanno fiducia e in fondo si accontentano di poco: la protezione, il gioco, il cibo, l’amore di chi li accudisce. Un amore cieco al quale i piccoli si affidano perché l’adulto sa quello che fa, perché è la guida, perché si fidano di lui.

Ci sono adulti che invadono la purezza dei bambini con la loro meschinità, violano la speranza, distruggono la fiducia di bimbi che ignari e accerchiati cadono nella loro trappola, senza alcuna possibilità. Allora è struggente il dolore di tale infamia e poco importa se fisica o consumata con lo sguardo. È la malvagità del pensiero che è intollerabile, un crimine che non può essere scusato mai. Lì non c’è più vita, perché è stata rubata l’innocenza.

 

 Immagine1-copia-1

Da “DISPERSA NEI PENSIERI DEL MIO CUORE”

di Mariella Lunardi - attiliofraccaroeditore

 

NON TOCCARE

 

Non guardare quel bimbo:

i suoi occhi implorano

l’innocenza.

Non toccare quel bimbo:

la sua pelle esige

il rispetto.

 

 

Lascia andare quel bimbo:

il suo corpo reclama

 la libertà.


Non sporcare quel bimbo

con la tua aberrazione:

la purezza l’ha forgiato,

appartiene alla Vita.

 

 

Ogni essere umano siamo noi. Ogni dignità è la nostra. Ogni bimbo ci appartiene perché il suo futuro racchiude anche la nostra speranza. Ogni violazione della dignità dell’uomo è la violazione della nostra dignità.

Ogni bambino violato è una lacerazione per ogni individuo, un urlo prorompente che ci inchioda alla vergogna.

 

È un diritto per tutti una buona qualità di vita.

 

                                                        Mariella Lunardi

 

 

 

 

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24 marzo 2013 7 24 /03 /marzo /2013 11:48

Fabrizio Silei è tante cose, per noi è difficilissimo dare una definizione univoca per il suo lavoro. E' un cantastorie, uno scrittore fantastico per ragazzi, un creativo, come lui stesso si definisce. Ma da questa intervista potrete capire tante cose. Buona lettura.

 

Caro Fabrizio

Da qualche settimana è uscito per Salani il tuo nuovo romanzo per ragazzi, “Se il diavolo porta il cappello”. Come tua consuetudine affronti temi importanti e universali e attraverso la storia di Ciro, ragazzino del dopoguerra, parli anche della grande storia. Ci vuoi raccontare come è nato questo tuo romanzo?

download (1)

 

Sì, hai perfettamente ragione, in questo romanzo, Se il diavolo porta il cappello, si intrecciano molte storie e vi si affronto diversi argomenti.  E’ un romanzo d’avventura e di formazione, un romanzo che parla di dopoguerra e di attesa,  di gemelli e di fratellanza, di lutto, di memoria, ma anche di zingari e di pregiudizio. L’elenco potrebbe allungarsi di molto, ma sono tutte considerazioni che in me nascono a posteriori, quando analizzo la storia come lettore. Come scrittore, invece, sono sempre molto in difficoltà quando mi si chiede come nascono le mie storie. Semplicemente arrivano, si formano man mano che scrivo e vi confluiscono dentro i miei interessi di un certo periodo, le mi ansie e le mie paure, ma anche le mie speranze. Ciò che vorrei dire e non so dire in nessun altro modo se non in questo: raccontando una storia.

 

Una parte importante in questa storia ce l’ha un popolo, che tutti conosciamo poco, gli zingari. Perché hai scelto di renderli protagonisti di un romanzo e che ruolo ha questa gente nella tua vita oggi? Ti ho sentito parlare di loro recentemente e, devo dire, che le tue parole mi hanno colpita e coinvolta.

 

Per tanti anni mi sono occupato di Shoah, e di ex internati militari, ma gli zingari anche per me erano sempre una voce fra le “altre ed eventuali”, come i testimoni di Geova o gli omosessuali. A un certo punto incontrandoli ho capito che oggi come ieri gli zingari rappresentano l’Altro per antonomasia, che mettono alla prova la nostra capacità di vivere con l’Altro e di comprenderlo più di ogni altro gruppo etnico. Approfondendo la questione ho scoperto la loro storia, il prezzo altissimo che queste popolazioni hanno pagato sempre e specialmente durante il nazismo: si calcolano di più di mezzo milione di zingari trucidati dai nazisti. Ho approfondito e scoperto anche che cosa era accaduto ai gemelli zingari finiti nelle grinfie del maledetto dottor Mengele. Era una storia terribile, che in qualche modo dovevo raccontare, che i nostri ragazzi devono conoscere e non solo loro.

E poi è una storia che non è finita, ancora oggi gli zingari che vivono nei campi per la nostra società sono fuori dalla comunità umana, a loro si negano diritti fondamentali come l’elettricità e l’acqua, l’istruzione. Insomma sono discriminati, sono incomprensibili, su di loro albergano pregiudizi terribili. Nessuno di noi ha un amico zingaro, in pochi difenderebbero uno zingaro maltrattato dalla polizia. Recentemente a Sassari ho lavorato in classi con dei bambini rom con i miei laboratori creativi. Le insegnanti si sono meravigliate della loro partecipazione al gioco e della loro bravura. La mia strategia? Semplicemente li ho trattati come gli altri bambini, non una carezza o un sorriso in più, non uno in meno. Nessuna etichetta preventiva, sono stati bravissimi come molti altri bambini “con problemi” dei quali non mi sono accorto. A volte, solo a  volte, dipende da come si impostano le relazioni e il problema sta negli occhi e nel cuore di chi guarda.

 

Ora voglio parlare un po’ di te e del tuo lavoro, anzi desidero che tu, che sei un cantastorie meraviglioso, racconti ai nostri lettori chi sei e cosa fai e soprattutto quali sono i messaggi che vuoi far passare attraverso i tuoi libri, i tuoi racconti e la tua arte.

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E’ una domanda enorme, forse anche scorretta, nel senso che non sono io a dover spiegare o trovare messaggi all’interno di ciò che faccio e racconto. Io racconto e basta, le storie che secondo me vale la pena raccontare, che riguardano ciò che mi tocca e mi coinvolge sin da quando ero molto piccolo o che mi diverte.

Come autore mi dicono che parlo spesso di storia, di razzismo, di pregiudizio. Bisogna esser stati molte volte ultimi per raccontare dal punto di vista degli ultimi e io lo sono stato spesso. Qualcuno mi ha fatto notare che in molti dei miei libri c’è una domanda che interroga il lettore: “Cosa faresti tu al posto del protagonista che sei diventato leggendo?” E’ vero, mi chiedo continuamente cosa avrei fatto io se la Storia mi avesse portato a dover spingere donne e bambini nelle camere a gas, è una domanda insopportabile, alla quale non si può rispondere, si può solo sperare di avere abbastanza coraggio per fare la cosa giusta quando dovessimo trovarcisi. Di riconoscere l’autobus della Storia che passa e non perderlo, come succede al nonno di Ben nel mio libro “L’autobus di Rosa”. Un nonno che non è Rosa Parks, ma ha il coraggio della memoria e di chiedere scusa, uno di noi, un eroe non eroe.

I miei libri creativi invece, quelli per i più piccoli, ragionano assolutamente sulle stesse questioni, ma dal punto di vista dei fondamentali. Mi piacciono i libri che iniziano quando finiscono. Che trasformano il bambino in un creatore felice e in un narratore a sua volta e non in un consumatore di storie o di giochi rigidi con le istruzioni per l’uso. “C’era una volta…”, “L’inventastorie,”  “L’invenzione dell’ornitorinco” e tanti altri nascono con questa filosofia di fondo.

 

Sentirti raccontare è un’esperienza bellissima, sei un vero cantastorie, e insisto su questo concetto. Se ho capito bene, anche tu ami particolarmente questa parte della tua vita. Allora voglio sapere come è nato quello splendido libro/oggetto che è“L’inventastorie”. Vuoi spiegare ai nostri lettori di che cosa si tratta?

 

Io vengo dalle storie che mi raccontava mia madre, una contadina con la terza elementare, ma formidabile. Storie di guerra, fiabe terribili, apprese nei focolari, dai vecchi analfabeti che, tuttavia, recitavano Dante e l’Ariosto a memoria, La Pia dei Tolomei, le storie di fantasmi, i contrasti in ottava rima. Quel mondo dell’oralità precipita spesso nei miei libri, mi affascina, ci sento le mie radici. Con il teatro d’animazione e di narrazione, dei burattini e delle marionette che ho praticato per anni con mia moglie ho imparato il racconto in presenza, teatrale, sciamanico, i tempi della narrazione. Ancora oggi ci sono storie che racconto soltanto e altre che scrivo. Sono due cose diverse con magie differenti.

L’inventastorie è un tentativo di costruire una macchina della fantasia con la quale, attraverso un oggetto artistico, di design e di grafica, si potesse istigare gli insegnati e i genitori a recuperare la funzione educativa per eccellenza, quella del raccontare e insegnare a raccontare e quella del giocare imparando. Io bambino raccontando sperimento altri mondi, mi metto nei panni degli altri, gestisco emozioni, prendo decisioni, imparo. E’ un omaggio a “La grammatica della fantasia” di Gianni Rodari, e a una stagione virtuosa della scuola italiana che sembra essersi un po’ dimenticata fra prove di comprensione e routine non sempre virtuose. Si tratta di sei personaggi in cerca di autore con scenari e oggetti che si ibridano all’infinito dando il La a centinaia di possibili storie. C’è anche un albo con alcune storie scritte da me utilizzando questo congegno 3D, interamente touch e multilingue. Ci sono puoi anche le D-ISTRUZIONI PER IL LAB-USO.

 

Hai avuto difficoltà a trovare un editore sensibile verso questo tuo progetto?

 

Molte difficoltà. Ma sono stato fortunato. Devo ringraziare l’editore di FATATRAC Stefano Cassanelli che ha subito capito il progetto e la splendida Elena Baboni con la quale lavorare è un vero piacere. Si tratta di un cofanetto prezioso e bellissimo con alti costi di progettazione e di produzione, tantissimo lavoro da parte mia e dell’editore che, come me, voleva mantenere un prezzo accessibile e popolare. Insomma, un piccolo miracolo italiano. E sta andando molto bene, tutti lo vogliono ed è in tutte le librerie.

 

“L’autobus di Rosa”, solo due parole da parte tua.

 

Una storia a cui devo molto, anche qui un “piccolo” grande editore, Orecchio Acerbo, e un gruppo di lavoro straordinario: Fausta Orecchio, Simone Tonucci, Paolo Cesari insieme a un grande compagno di viaggio, l’illustratore Maurizio Quarello per le immagini. L’idea del racconto mi è nata pensando che mentre in America si eleggeva Obama in Italia si parlava di proposte del tipo: autobus per soli milanesi e le classi per soli bambini immigrati. Paradossale, proposte che puzzavano di segregazionismo, pensare a Rosa è stato naturale. Ma questa storia che non è solo quella di Rosa Parks, dell’eroina, ma anche quella di Ben e suo Nonno, di chi su quell’autobus c’era e si alzò come tutti i giorni precedenti. Di una persona normale come noi, ma infine consapevole e pronta a fare memoria e chiedere scusa al nipote. Questo albo ci ha dato grande soddisfazione, premi, segnalazioni e traduzioni in molti Paesi, uno spettacolo teatrale, un’animazione in Germania. Insomma un libro che amano in molti.

 

Non si dovrebbe mai chiedere ad uno scrittore qual è il suo “figlio” prediletto, tuttavia desidero sapere se tra i protagonisti dei tuoi libri e delle storie che racconti a voce, ce n’è uno che ami in modo speciale?

E’ sempre l’ultimo a cui si sta lavorando il libro che si ama di più, ma un posto speciale nel mio cuore ce l’hanno Bernardo e l’angelo nero, L’autobus di Rosa, Il bambino di vetro… altri in uscita, anche se a ben pensare ognuno dei miei libri è comunque come un figlio, un momento della vita, un passo avanti nella scrittura, che è difficile dimenticare.

 

Caro Fabrizio le domande sarebbero tantissime, ma mi fermo qui e ti lascio con una richiesta: un messaggio per i nostri piccoli e giovani lettori.

Se capitate a Pescia vicino Collodi provincia di PT, in via San Romualdo, numero 1, venite a trovarmi nel mio Atelier: ATELIER L’ORNITORINCO. Fra libri, colori, sculture, burattini, marionette e giochi ci divertiremo. Consigli? Da vecchio bacucco profetico? Che dire: cercate di capire qual è la vostra grande passione nella vita e cavalcatela. Cavalcare il proprio demone è l’unico modo che ho scoperto per non essere cavalcato dai demoni che ci circondano e vorrebbero distruggerci o fare di noi molto meno di quanto, invece, possiamo essere.

 

Grazie Anna

Grazie a te. A presto. Fabrizio

 

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13 marzo 2013 3 13 /03 /marzo /2013 01:18

 

9788856626650.jpgUna vita che dura un solo giorno e per di più il giorno di Natale del 1969. E’ la vita di Willie Sutton, mitico rapinatore di banche dell’America delle grandi depressioni. Willie esce di prigione proprio il 25 dicembre del 1969 e nell’arco di poche ore è costretto a ricordare tutto, tutta la sua vita di rapinatore “onesto”, idealista, colto, perché la sua leggenda merita di essere raccontata al mondo e c’è un giornale di New York che ne ha l’esclusiva.

Willie è dapprima un bambino maltrattato dai fratelli, è il figlio di una coppia infelice di  irlandesi di Brooklyn, diventa,  poi, l’adolescente, che assieme ai suoi fidati amici, Happy e Eddie, si affaccia al mondo e scopre che è crudele, cinico e privo di compassione per l’uomo. Ma Sutton è anche il giovane innamorato di Bess, è colui che vorrebbe vivere onestamente, senza nuocere a nessuno. Ma la vita, già a sedici anni, gli ha fatto provare la fame, il dolore, la solitudine, la paura e continua, ogni giorno, senza sosta, a spingerlo verso il basso.

Allora, forse rapinare banche, “Perché è là che ci sono i soldi”, può suonare come un male minore, come il riscatto di un giovane uomo sensibile, intelligente e tenace. Willie, dopo cento rapine, finirà in prigione e, nemmeno lì permetterà alla storia di sopraffarlo, riempirà la sua cella di libri e studierà, capirà, volerà. Glielo permettono Shakespeare, Dante e ….

A raccontare questa storia  è la penna di J.R. Moehringer, premio Pulitzer, scrittore di successo e autore, assieme con André Agassi, della biografia del tennista, “Open”. La scrittura di Moehringer è avvolgente, limpida, studiata e capace di far trasparire la vita con forza e delicatezza insieme. Di lui Baricco dice “J.R. Moehringer, obbiettivamente, è di una bravura mostruosa”. images-copia-1

 

 

“Soldi. Amore. Non esiste problema che non sia colpa dei soldi o dell’amore. E non esiste problema che non si possa risolvere, con i soldi o con l’amore. Suona un po’ riduttivo, Signor Sutton. Soldi e amore, ragazzo. Solo questo conta. Perché sono le uniche due cose che ci fanno dimenticare che esiste la morte. Almeno per qualche minuto”.

 

Sulla vita di Willie Sutton (1901 - 1980) è stato realizzato anche un film, di cui proprio Moehringer parla in questo video.

In the Footsteps of Willie Sutton.

 


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10 marzo 2013 7 10 /03 /marzo /2013 21:19

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A 27 anni, carico di soldi,

una lunga “scorta” di donne,

furti, rapine, droga,

per caso mancato assassino,

una fama di “duro”

come buttafuori

nei pub di Londra…

Finché accade qualche cosa

di straordinario…

 

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10 marzo 2013 7 10 /03 /marzo /2013 21:18

Andrea locandina-copia-1

 

Incontro per i nostri bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie. Vi aspettiamo numerosi!!!!

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