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10 marzo 2015 2 10 /03 /marzo /2015 21:48
A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. Marzo 2015

La lettura è un bene che entra in famiglia e costruisce bene. Intendo parlare, naturalmente, di buona lettura. La lettura è una pratica che si può insegnare e che, se proposta con le giuste strategie, entra nella vita dei nostri bambini e vi rimane. Può essere che l’ingresso sia posticipato rispeto alla nostra semina, ma se abbiamo seminato lettura, prima o poi raccoglieremo lettori! O, quanto meno, non avremo avversità o indifferenza rispetto alla lettura.

Seminare lettura non è complicato. Richiede dei requisiti, questo è vero. Bisogna possedere alcune tecniche per la semina, avere la costanza, conoscere qualche trucco…e non guasta essere degli appassionati lettori, anche se non è fondamentale, a mio avviso.

I bambini sono spugne curiose, permettetemi questa immagine ultimamente contestata. Intendo dire che hanno sete del bello. La buona lettura è cosa bella! La nostra conoscenza, il nostro immaginario, la nostra crescita…tutto questo può essere alimentato dalla lettura.

In un bambino piccolo, la lettura proposta è sempre fonte di piacere. In questo caso il piacere si trasforma in benessere. Il benessere crea i presupposti per la crescita armonica, la facilita.

Il mondo delle storie, i personaggi avventurosi, le loro peripezie felici e infelici non solo fanno sognare i bambini, ma permettono un confronto con la loro realtà, un non sentirsi soli, un viaggiare dove ogni cosa trova un giusto posto, situazione che nel reale non sempre avviene, perché crescere è più complicato di quanto si possa pensare!

La lettura apre spazi di fantasia, squarci di realtà, stimola i sentimenti, arricchisce di conoscenze…è un mondo senza fine che ci viene offerto dentro le storie.

Per generare un buon lettote è buona cosa seminare la lettura a voce alta. Mi spiego: l’adulto legge, il bambino ascolta. E va fatto subito, dai primi giorni di vita. Questa esperienza è puro piacere e crea un’abitudine sana, un rituale che prevede il libro come presenza viva in famiglia. Qui si deve adottare la costanza: un adulto deve leggere a voce alta al proprio figlio con costanza mantenuta nel tempo.

Nel leggere, l’adulto deve utilizzare dei trucchi, delle strategie che deve imparare informandosi e confrontandosi con specialisti o altri genitori lettori.

Infine un adulto deve proporre la lettura con amore. In questa relazione adulto-libro- bambino, è importante il dono del tempo che il genitore investe per stare con il figlio. Un tempo che diventa relazione costruttiva e che si sostituisce a altri contenitori educativi che entrano sempre più con prepotenza nella vita familiare educando a modo loro i nostri bambini: televisione, videogiochi, cellulari,computer…

La lettura costruisce bene perché attraverso la presenza crea un legame sano. Diventa un bene culturale perché molto si può imparare da un buon libro in fatto di tecniche linguistiche e di arricchimenti lessicali.

Il bene è fatto di cose semplici: un buon libro, un bambino che ascolta, un genitore che legge, una relazione che si consolida, un tempo passato in famiglia…

Buona qualità di vita con i vostri figli!

Mariella Lunardi

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5 settembre 2014 5 05 /09 /settembre /2014 23:13
“Saluta il signore! Ringrazia quella persona!” Sono semplici richieste che un tempo, camminando per strada, nei negozi, nei bar, nei luoghi pubblici sentivi formulare alle mamme. Erano raccomandazioni, frasi di incitamento a relazionarsi con l’altro in modo corretto; frasi che venivano suggerite a bimbi, anche piccoli, perché imparassero a muoversi nei delicati meandri della relazione con il giusto rispetto, la corretta educazione. Cosa c’è di così importante dietro un saluto? Perché va chiesto ai bambini? Prima di tutto salutare è semplicemente un fatto di buona educazione. Si saluta quando si arriva, si saluta quando si va via, si salutano le persone di nostra conoscenza che incontriamo o le persone che ci vengono presentate. Si salutano i genitori al mattino, si saluta al rientro in casa, prima di andare a dormire. È doveroso il saluto agli insegnanti quando si arriva a scuola, quando le lezioni sono terminate, quando un adulto entra in classe. Vanno salutati tutti gli operatori che incontriamo, i negozianti, il giornalaio….Insomma, la buona educazione prevede che un incontro si apra e si chiuda con un saluto più o meno formale, a seconda della relazione instaurata tra le persone. Un saluto fa di più, dice: ”Ti riconosco, so che ci sei, esisti”. Questa forma di riconoscimento insegnata ai bambini ha un grande valore. Se io riconosco una persona, la sua presenza, allora non posso muovermi come se non esistesse. Mi devo confrontare con lei, adeguando il mio comportamento alla forma di relazione che si è instaurata tra noi. Quante volte vediamo i nostri bambini trattare autorità (medici, insegnanti..) con la stessa confidenza con cui trattano un familiare! Il commento più comune pronunciato dalle persone in queste situazioni è più o meno il seguente: ”Non ha paura di niente!”. In realtà un bimbo che si comporta così non ha capito la diversità dei ruoli perché non gli è stata insegnata. “Ma è così importante?” mi potreste chiedere. Io credo di sì. La nostra società è strutturata sulla diversità dei ruoli. Tutti noi siamo chiamati in tempi diversi a rispettare i ruoli di qualcun altro. Pensate a un adulto che non rispetti il ruolo di un poliziotto, ad esempio. Un bel guaio! Il rispetto dei ruoli va insegnato, non si impara automaticamente. In questi anni la scuola fatica ad essere autorevole perché gli alunni faticano a riconoscere ruoli autorevoli, abituati un po’ a “farla da padroni” in famiglia. Non tutti i bambini sono così, è vero, ma molti sì, credetemi. Allora iniziano i problemi di relazione scuola- genitori perché la scuola chiede atteggiamenti di rispetto nuovi per il bambino e la famiglia è in difficoltà nell’insegnarglieli quando il figlio è già grandicello. Un saluto potrebbe porre rimedio a tutto questo? Certo che no, ma è un primo passo importante. ”Saluta la maestra. Ringrazia il dottore” stanno a significare: ”Non sei in solo, muoviti con rispetto e gratitudine per quello che ricevi.”. È un messaggio silenzioso ma efficace, è soprattutto un messaggio educante, un primo passo verso un atteggiamento di rispetto per la persona che si ha davanti. Se riconosco una persona e la saluto, con più difficoltà potrò ignorarla. Riconoscendola dovrò pormi la domanda di chi sia e che spazio occupi nella mia vita. Così facendo non crederò più di essere l’unico abitante del mio spazio vitale, farò i conti con altre presenze che meritano il mio rispetto e mi abituerò a considerarmi non più “l’unico”, ma uno del gruppo sociale a cui appartengo. Primissimi passetti fondamentali di integrazione corretta, caratterizzata dalla buona educazione, che partono da un semplice :”Buongiorno!” Buona qualità di vita con i vostri figli. Mariella Lunardi

“Saluta il signore! Ringrazia quella persona!” Sono semplici richieste che un tempo, camminando per strada, nei negozi, nei bar, nei luoghi pubblici sentivi formulare alle mamme. Erano raccomandazioni, frasi di incitamento a relazionarsi con l’altro in modo corretto; frasi che venivano suggerite a bimbi, anche piccoli, perché imparassero a muoversi nei delicati meandri della relazione con il giusto rispetto, la corretta educazione. Cosa c’è di così importante dietro un saluto? Perché va chiesto ai bambini? Prima di tutto salutare è semplicemente un fatto di buona educazione. Si saluta quando si arriva, si saluta quando si va via, si salutano le persone di nostra conoscenza che incontriamo o le persone che ci vengono presentate. Si salutano i genitori al mattino, si saluta al rientro in casa, prima di andare a dormire. È doveroso il saluto agli insegnanti quando si arriva a scuola, quando le lezioni sono terminate, quando un adulto entra in classe. Vanno salutati tutti gli operatori che incontriamo, i negozianti, il giornalaio….Insomma, la buona educazione prevede che un incontro si apra e si chiuda con un saluto più o meno formale, a seconda della relazione instaurata tra le persone. Un saluto fa di più, dice: ”Ti riconosco, so che ci sei, esisti”. Questa forma di riconoscimento insegnata ai bambini ha un grande valore. Se io riconosco una persona, la sua presenza, allora non posso muovermi come se non esistesse. Mi devo confrontare con lei, adeguando il mio comportamento alla forma di relazione che si è instaurata tra noi. Quante volte vediamo i nostri bambini trattare autorità (medici, insegnanti..) con la stessa confidenza con cui trattano un familiare! Il commento più comune pronunciato dalle persone in queste situazioni è più o meno il seguente: ”Non ha paura di niente!”. In realtà un bimbo che si comporta così non ha capito la diversità dei ruoli perché non gli è stata insegnata. “Ma è così importante?” mi potreste chiedere. Io credo di sì. La nostra società è strutturata sulla diversità dei ruoli. Tutti noi siamo chiamati in tempi diversi a rispettare i ruoli di qualcun altro. Pensate a un adulto che non rispetti il ruolo di un poliziotto, ad esempio. Un bel guaio! Il rispetto dei ruoli va insegnato, non si impara automaticamente. In questi anni la scuola fatica ad essere autorevole perché gli alunni faticano a riconoscere ruoli autorevoli, abituati un po’ a “farla da padroni” in famiglia. Non tutti i bambini sono così, è vero, ma molti sì, credetemi. Allora iniziano i problemi di relazione scuola- genitori perché la scuola chiede atteggiamenti di rispetto nuovi per il bambino e la famiglia è in difficoltà nell’insegnarglieli quando il figlio è già grandicello. Un saluto potrebbe porre rimedio a tutto questo? Certo che no, ma è un primo passo importante. ”Saluta la maestra. Ringrazia il dottore” stanno a significare: ”Non sei in solo, muoviti con rispetto e gratitudine per quello che ricevi.”. È un messaggio silenzioso ma efficace, è soprattutto un messaggio educante, un primo passo verso un atteggiamento di rispetto per la persona che si ha davanti. Se riconosco una persona e la saluto, con più difficoltà potrò ignorarla. Riconoscendola dovrò pormi la domanda di chi sia e che spazio occupi nella mia vita. Così facendo non crederò più di essere l’unico abitante del mio spazio vitale, farò i conti con altre presenze che meritano il mio rispetto e mi abituerò a considerarmi non più “l’unico”, ma uno del gruppo sociale a cui appartengo. Primissimi passetti fondamentali di integrazione corretta, caratterizzata dalla buona educazione, che partono da un semplice :”Buongiorno!” Buona qualità di vita con i vostri figli. Mariella Lunardi

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3 agosto 2014 7 03 /08 /agosto /2014 19:01
C’è un bisogno sempre più sentito di dare ai figli ciò che è mancato a noi. Allora inizia la corsa per fare in modo che questo si avveri e si cerca di non far mancare nulla ai bambini. Siamo disposti a qualsiasi sacrificio purché ogni loro desiderio trovi risposta e doniamo, doniamo, doniamo… Doniamo in oggetti, in giochi, in tempo organizzato… Doniamo con ansia, quasi non bastasse mai quello che diamo, quello che facciamo… Il più delle volte doniamo pensando di amare e di amare “bene”. L’amore è così complicato! Lo è anche quando dobbiamo educare i nostri figli. Quei figli che non siamo noi, ma creature stupende staccate da noi, che la vita ci ha affidato e che dobbiamo aiutare a crescere. Il “tutto” che noi vorremmo dare, non permetterebbe ai bambini di sperimentare l’attesa, di vivere la rinuncia, di capire che nella quotidianità dell’esistenza il “tutto” non si può avere e ottenerlo da piccoli a ogni costo non è sempre costruttivo. La vita reale è fatta di vuoti, di rinunce, di insoddisfazioni, di desideri non realizzati… Sono dei “no” con cui dobbiamo convivere e che dobbiamo saper gestire con forza e ottimismo. Quando insegneremo, quindi, la vita vera ai nostri figli se seminiamo strade di “sì” a ogni loro richiesta? Ecco allora che i nostri “sì” incondizionati, che noi chiamiamo amore, diventano la nostra sconfitta genitoriale. Se non impariamo ad accettare nostro figlio serenamente e con convinzione, mentre attraversa l’esperienza della privazione, non lo muniremo già da subito della capacità di affrontare la sua vita, leggendola come essa è nella realtà: non il paese dei balocchi, ma una costante difficoltosa e meravigliosa conquista. Nulla ti viene donato, da adulto, su un vassoio dorato; è proprio la conquista quotidiana che dà valore alle nostre fatiche, che fortifica ed è fonte di crescita! Così alla fine è privando che amiamo, non donando tutto. L’unica cosa che non dobbiamo mai elemosinare è l’amore, quello vero. Buona qualità di vita con i vostri figli. Mariella Lunardi

C’è un bisogno sempre più sentito di dare ai figli ciò che è mancato a noi. Allora inizia la corsa per fare in modo che questo si avveri e si cerca di non far mancare nulla ai bambini. Siamo disposti a qualsiasi sacrificio purché ogni loro desiderio trovi risposta e doniamo, doniamo, doniamo… Doniamo in oggetti, in giochi, in tempo organizzato… Doniamo con ansia, quasi non bastasse mai quello che diamo, quello che facciamo… Il più delle volte doniamo pensando di amare e di amare “bene”. L’amore è così complicato! Lo è anche quando dobbiamo educare i nostri figli. Quei figli che non siamo noi, ma creature stupende staccate da noi, che la vita ci ha affidato e che dobbiamo aiutare a crescere. Il “tutto” che noi vorremmo dare, non permetterebbe ai bambini di sperimentare l’attesa, di vivere la rinuncia, di capire che nella quotidianità dell’esistenza il “tutto” non si può avere e ottenerlo da piccoli a ogni costo non è sempre costruttivo. La vita reale è fatta di vuoti, di rinunce, di insoddisfazioni, di desideri non realizzati… Sono dei “no” con cui dobbiamo convivere e che dobbiamo saper gestire con forza e ottimismo. Quando insegneremo, quindi, la vita vera ai nostri figli se seminiamo strade di “sì” a ogni loro richiesta? Ecco allora che i nostri “sì” incondizionati, che noi chiamiamo amore, diventano la nostra sconfitta genitoriale. Se non impariamo ad accettare nostro figlio serenamente e con convinzione, mentre attraversa l’esperienza della privazione, non lo muniremo già da subito della capacità di affrontare la sua vita, leggendola come essa è nella realtà: non il paese dei balocchi, ma una costante difficoltosa e meravigliosa conquista. Nulla ti viene donato, da adulto, su un vassoio dorato; è proprio la conquista quotidiana che dà valore alle nostre fatiche, che fortifica ed è fonte di crescita! Così alla fine è privando che amiamo, non donando tutto. L’unica cosa che non dobbiamo mai elemosinare è l’amore, quello vero. Buona qualità di vita con i vostri figli. Mariella Lunardi

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2 maggio 2014 5 02 /05 /maggio /2014 23:56

 

Quanta sofferenza ci restituisce la sofferenza dei nostri figli! Il loro dolore di fronte a un insuccesso, a un’amarezza, a una difficoltà… entra con forza in noi e ci lascia in ansia. Ci chiediamo se il nostro bambino sia in grado di superare la prova che sta vivendo senza riportare troppe ferite, se la difficoltà che sperimenta sia proprio necessaria, se non ci siano modalità diverse per superarla, se…se…se…

Noi non riusciamo a sopportare il dolore delle nostre creature, non vogliamo vedere i nostri figli nella sofferenza. Credo che questo sia un sentimento che proviamo nei confronti di tutte le persone che amiamo e mi permetto di dire che è un sentimento forte che sento spesso anche io. Più si ama e più si sente il bisogno di proteggere il proprio amato da ogni cosa, soprattutto dalla sofferenza.

Così, di fronte al dolore dei nostri bambini, tra i tanti “se” che ci attraversano ne emerge uno prorompente: ”E se io riuscissi a evitare il suo dolore?”. Anche questo interrogativo è pienamente legittimo nei rapporti d’amore. È appunto l’opposto dell’indifferenza che proviamo per un estraneo, è un aspetto dell’accudimento che si fa tutela vigile. È amore.

Allora, cosa c’è di strano nel darsi da fare per un figlio che soffre? Perché parlarne se tutto è così normale?

Ecco, vorrei che riflettessimo insieme sulle modalità che la tutela oggi utilizza, o meglio vorrei che riflettessimo sui modi corretti di proteggere un bambino dalla sofferenza.

Sempre devo precisare che quando parlo di situazioni difficili mi riferisco a quelle realtà che hanno fatto parte della vita di tutti i bambini ( litigi tra compagni, esclusioni dai giochi, delusioni, insuccessi scolastici…) e non di situazioni estreme dove l’intervento di un adulto è necessario e doveroso per la tutela di un minore. Nelle situazioni sopra citate oggigiorno c’è la tendenza dei genitori ad intervenire con una certa urgenza per riportare la normalità nella vita del figlio, affinchè il motivo della sofferenza venga eliminato.

La sofferenza, le difficoltà che incontriamo nel nostro cammino sono elementi che fanno parte dell’esperienza, in questa nostra vita. La nostra umanità ci porta, purtroppo, a sperimentare le situazioni difficili, di sofferenza nelle quali proprio la vita stessa ci fa entrare. Sono momenti impegnativi da superare e credo che nessuno di noi li viva gioiosamente. Ma molto spesso, attraverso alcune situazioni complicate siamo costretti a tirar fuori il meglio di noi stessi. Siamo messi alla prova e dobbiamo reagire per superare l’ostacolo che ci siamo trovati davanti. Allora dobbiamo avere forza, determinazione, coraggio, pazienza, speranza, fiducia… Le prove ci modellano e ci fanno scoprire le carte più importanti del nostro esistere: ci forgiano e spesso, se sappiamo sfruttare le situazioni, ci lasciano migliori di prima.

Possiamo così dire che la sofferenza che non possiamo evitare o che fa parte del gioco della crescita diventa un’opportunità per migliorarci.

Tutto questo vale per un adulto, ma anche per un bambino, quando sperimenta le sue sconfitte, sconfitte che sono state un po’ quelle di tutti. Nella difficoltà anche il piccolo ha la necessità di sperimentare le sue capacità, di verificare che è in grado di farcela da solo, di allenare: forza, pazienza, determinazione, coraggio…E nella difficoltà anche un figlio cresce e si fortifica. Un conflitto con un compagno, il pianto per un’esclusione dal gruppo, la sofferenza per un brutto voto hanno fatto parte dell’esperienza di tutti e non uccideranno i nostri bambini, soprattutto se ci troveranno al loro fianco pronti ad incoraggiarli e a sostenerli, alimentando la speranza. Non sarà necessario intervenire perché scompaia la causa della sofferenza, sarà utile aspettare insieme che passi, per sperimentare così che anche il dolore ha una fine e che non ci annienta, che può essere vinto. Che lezione meravigliosa per la vita!

Invece noi siamo tentati sempre, come dicevo prima, a estirpare con il nostro intervento la fonte della sofferenza. Hai preso una nota e piangi? Parlerò con l’insegnante perché ciò non accada più. Ti hanno escluso da un gioco? Mi rivolgerò alla mamma del compagno responsabile della tua esclusione. E così via…

Le crisalidi sono gabbie che imprigionano le farfalle. Forse anche una farfalla non vorrebbe subire la limitazione derivante da quell’involucro. Se lo tagliassimo per far uscire anzitempo la farfalla, l’animale morirebbe. Non gli avremmo dato il tempo di maturare.

Dobbiamo vigilare di non fare lo stesso errore con i nostri figli. Dobbiamo permettere loro di maturare con le loro forze, anche grazie a quei piccoli dolori che la quotidianità ci elargisce.

Così, attraverso anche la sofferenza, i nostri figli sapranno fortificarsi e si prepareranno ad affrontare la vita.

Meravigliose farfalle i bambini, noi tutti il loro cielo.

Buona qualità di vita con i vostri figli.

Mariella Lunardi

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9 marzo 2014 7 09 /03 /marzo /2014 22:06

Forse abbiamo dimenticato che la natura è una grande maestra! Un tempo non era così: si osservava il cielo, si ascoltava il vento, le semine venivano fatte scrutando la luna… La natura era “madre”, a volte crudele, ma madre presente e in qualche modo influenzava le scelte degli uomini. Oggi la natura è stata presa e messa da parte. Usata solo per essere sfruttata. Non insegna più nulla soprattutto perché nessuno si mette in ascolto.

Quotidianamente organizziamo la nostra vita senza più tener conto dei ritmi naturali che ci governano. Non li riconosciamo e orientiamo le nostre scelte altrove, soddisfacendo ad ogni costo i nostri bisogni personali. A volte senza porci dei limiti.

La natura per prima ci insegna i limiti! L’alternarsi del giorno e della notte, con la loro ciclicità, ci parla di limiti: di luce, di buio. Di luce per avvolgerci di energia da consumare nelle molteplici attività. Di buio per lasciarci cullare dall’oscurità della notte e lasciarci andare al sonno. Giorno per vivere, notte per dormire.

Oggi questo limite è stato frantumato e la vita si consuma nel manto nero delle ore notturne, mentre le albe magnifiche e le mattinate che chiamano al risveglio del corpo e della mente sono state affidate al sonno, soprattutto nei giorni festivi, liberi dal vincolo lavorativo.

Così cambiano le abitudini, così si impostano ritmi nuovi, diversi.

Ritmi che in qualche modo coinvolgono anche i bambini, perché i piccoli, mai come ora, seguono i grandi e si adattano al loro stile di vita. Il sonno notturno, che è una miniera così preziosa di ricarica per grandi e piccini, viene disturbato dall’abitudine sempre più condivisa di gestire la sera fino a tardi, riempiendola delle attività più svariate. Così anche la notte per i bambini diventa il luogo dell’incontro, dell’attività e il sonno reclama la sua oasi di pace che tarda a venire, incurante dei ritmi naturali che il nostro corpo desidera seguire.

Il sonno è un dono per tutti, soprattutto per un bambino. Il sonno è benzina per la mente, è energia per il corpo, è oro per l’attenzione. Un bimbo che dorme con regolarità è più disteso, disponibile verso le attività che gli vengono proposte, ha tempi di attenzione più lunghi, più energia. Uno scolaro che va a scuola “carico” grazie a una lunga e buona notte di riposo è aperto all’apprendimento e più predisposto a sostenere l’impegno richiesto perchè esso si realizzi. Il sonno è prezioso!

È così importante che va tutelato, protetto. Non stravolto nelle abitudini, ma assecondato dai rituali che lo trattengano, lo facciano “abitare” nelle nostre case con il riguardo dovuto.

Esistono buone abitudini date ai bambini che facilitano il loro riposo. Andare a dormire alla stessa ora in un ambiente sereno è una buona abitudine. Leggere una storia al piccolo prima che si addormenti non solo è una ottima abitudine, ma si trasforma anche in un’occasione per stare con il figlio donandogli un tempo prezioso investito in un’attività che lo ammalierà e lo accompagnerà a chiudere gli occhi immerso nella meravigliosa e avvolgente fantasia dei racconti.

La lettura di una storia diventa una specie di Caronte che traghetta i piccoli nel mondo dei sogni!

Tutto si fa armonia in una casa dove un genitore trova il tempo per stare con suo figlio, calda presenza che legge. Dove il ritmo “giorno – notte” viene rispettato,dove esiste un orario per fare la nanna, mentre il sole si riposa e la luna, sentinella silenziosa, veglia il sonno schiacciando l’occhio alle stelle.

Allora mi piacerebbe immaginare giovani genitori che sanno anche aggregarsi con intrattenimenti casalinghi che prevedano “l’accompagnamento” dei figli al sonno in orari a loro adeguati.

Mi immagino adulti che si alternano nel racconto di storie, mentre altri si intrattengono in stanze diverse per godere il “tempo” dei grandi. Un po’ come viene chiesto di fare con l’alcool quando si deve guidare.

Mi piace pensare a soluzioni che diversifichino la vita notturna dei figli da quella dei genitori, per garantire al minore un sonno sereno, cullato dal ritmo giorno-notte, in sintonia col respiro della natura.

È utopia? Ho questo sogno: vedere rispettato il diritto al riposo di un minore, in armonia con il creato.

Buona qualità di vita con i vostri figli.

Mariella Lunardi

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29 gennaio 2014 3 29 /01 /gennaio /2014 21:51
A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi: gennaio 2014

lImmagino un bambino a scuola. Seduto al suo banco. La lavagna, Lim o di ardesia, punto focale della sua attenzione. La cattedra lì vicino, come una nave ammiraglia da dove l’insegnante gli apre un mondo nuovo.

Immagino quel bambino, soprattutto se è di prima, che si interroga e si chiede dove sia finito, che spazio stia occupando, che nome dare a questo spazio.

Il nome di questo spazio è scuola. Il sinonimo di scuola è casa. La casa dei saperi, il luogo dell’incontro dove il tempo si congiunge alla conoscenza, all’interno di una relazione viva, costruttiva tra il bimbo, l’insegnante, i nuovi compagni.

Ecco cos’è la scuola: una casa!

Le case hanno regole: si accudiscono, si tengono pulite, si trattano con cura perché sono il nostro nido, dove rifugiarsi alla fine di una lunga giornata, dove sperimentare l’affettività familiare. La stessa cosa dovrebbe rappresentare la scuola e lo stesso trattamento si dovrebbe riservare a questo ambiente. La scuola ha regole come la casa, la scuola è il rifugio dall’ignoranza, è alternativa alla solitudine, è il terreno dove si sperimenta la convivenza, imparando.

La scuola allora diventa il “luogo” per eccellenza del bambino, di ogni bambino, perché l’istruzione non è un fatto privato, riservato a pochi. È una realtà pubblica a beneficio di tutti. La scuola ci appartiene, è un bene pubblico.

Abbiamo dimenticato proprio questo:i beni pubblici ci appartengono. Sono nostri. Lo abbiamo dimenticato perché attraversiamo le nostre città, spesso d’arte, imbrattandole, sporcandole, privi di cura. Non capiamo che la cosa pubblica è sì di ogni cittadino, ma principalmente è nostra. “Mia”. Se ricordassimo questo, sicuramente tratteremmo strade, muri case, statue, scuole…con meno indifferenza, più rispetto e forse ne riconosceremmo il valore. Se avessimo chiara questa nostra “proprietà sociale”, ci muoveremmo con lo stesso rispetto con cui viviamo a casa nostra.

Io penso che dovremmo comportarci con questa cura anche a scuola. Si dovrebbe insegnare ai bambini che loro abitano la “casa dei saperi”, la loro seconda casa (in tempo speso giornalmente) e per questo motivo a scuola dovrebbero adottare tutti quei comportamenti corretti e rispettosi che utilizzano nella loro abitazione.

Se genitori e insegnanti, uniti da una sana complicità educativa, chiedessero compatti questi atteggiamenti ai bambini, non ci sarebbero banchi feriti da scritte, scrostati volutamente, imbrattati e imbruttiti da gomme da masticare. I muri non sarebbero inutilmente segnati e le carte non finirebbero in terra, ma nei cestini.

Abbiamo la fortuna di possedere molto, senza accorgercene. Noi non abitiamo solamente le scuole, ma anche i nostri giardini pubblici, le nostre città, i mari, le montagne, i boschi….

Abitiamo il nostro territorio, che ci appartiene.

Talvolta occupiamo il nostro pianeta come se fossimo stranieri. Tutto ciò che è pubblico, e di conseguenza anche nostro, viene deturpato dalla nostra incuria, solo perché ci dimentichiamo che diamo cittadini, cittadini del mondo.

Insegniamo da subito ai nostri figli una buona qualità di vita!

Mariella Lunardi

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14 novembre 2013 4 14 /11 /novembre /2013 22:28
A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. novembre 2013

Noi siamo quello che mangiamo. Ce lo dicono i nutrizionisti ad ogni occasione e credo che nessuno abbia più dubbi in proposito. La nostra alimentazione è fondamentale per la nostra salute. La scelta dei cibi che mangiamo condiziona il nostro benessere fisico. Siamo appunto quello che mangiamo. Se l’alimento non è sano, contaminato in qualche modo, le sostanze contamineranno anche noi e, nel tempo, la nostra salute ne risentirà. Da qui, sempre più diffusa e consapevole, diventa la cura con cui noi scegliamo il cibo. Non siamo più disposti a “mandar giù” di tutto. Abbiamo capito che ciò che ingoiamo di giorno in giorno influenzerà la nostra vita.

Ebbene, questo atteggiamento così saggio, così importante per noi, non viene adottato quando parliamo della nostra interiorità. Lì non ci preoccupiamo di quello che quotidianamente ingeriamo in parole, linguaggi, immagini, stili di vita, modi di dire, abitudini. Siamo indifferenti a quanto somministriamo alla nostra interiorità, non ce ne curiamo.

Come adulti noi siamo liberi di scegliere quello che vogliamo, senza costrizioni da parte di nessuno. Ma quando entrano in ballo i nostri figli siamo chiamati a riflettere con molta più attenzione sulle nostre scelte.

L’universo di un bambino è tutto da impostare, da costruire, si sta formando. La sua interiorità (e qui ognuno di voi dia l’interpretazione che desidera a questo termine così “pieno” di significato) è un fiore delicato che sta crescendo, sta maturando. Ha bisogno di accudimento e di concime. Allora diventa fondamentale avere cura di quello che noi proponiamo in termini di interiorità.

Siamo anche quello che quotidianamente, ripetutamente, giorno dopo giorno, vediamo e sentiamo. Gli stimoli comunicativi dettati da parole e immagini non possono essere ignorati.

Ecco allora che il genitore deve diventare vigile. Si deve chiedere in tutta onestà se il linguaggio che usa, le trasmissioni che mostra al figlio, le immagini che gli fa vedere siano il “cibo” che desidera per la sua creatura. Deve aver chiaro che sicuramente incide nella persona quello che quotidianamente e ripetutamente si vede e si sente.

Voglio portare alcuni semplici esempi, giusto per muovermi nel concreto.

Desidero che mio figlio cresca rispettoso, ma lo lascio serenamente guardare trasmissioni in cui l’insulto e la prepotenza sono alla base della comunicazione. Chi urla di più, chi usa di più la violenza e la prepotenza verbale emerge come vincente. Diventa quindi un modello, valorizzato dai media e perciò applicabile.

Anche il nostro linguaggio domestico è spesso colorito. Comunemente una parolaccia viene vista come un intercalare normale e si assottiglia sempre più la linea di demarcazione tra ciò che è rispettoso dell’altro e ciò che non lo è. Purtroppo l’uso di un certo linguaggio incide sull’idea di rispetto che si vuole insegnare: rispetto per la persona, per la sua fisicità, i suoi pensieri, la sua cultura, le sue origini…. Rispettare non significa condividere aspetti che non sono nostri, che non ci appartengono. Si può (e in certi casi si deve) dissentire da ciò che non si approva, ma lo si può fare appunto nel rispetto dell’altro.

Il rispetto si oppone alla violenza verbale o fisica, il rispetto non ospita mai la volgarità.

C’è un altro canale utilizzato dai bambini che alimenta non sempre nel modo corretto la loro interiorità. Parlo dei videogiochi e più precisamente della dipendenza da videogiochi, che si manifesta nel desiderio di passare ore e ore davanti al piccolo schermo. Sia chiaro che non sto demonizzando questo tipo di gioco, è mia intenzione far riflettere sul fatto che quando si consegna nelle mani di un piccolo un videogioco difficilmente ci si cura del suo contenuto comunicativo per poter essere in grado di approvarlo o meno. Non ci si preoccupa, inoltre, del tempo che il figlio passa al videogioco, pensando che esso sia un passatempo innocuo, ma non sempre è così, se non vengono rispettate alcune condizioni: visione del contenuto, tempo limitato di utilizzo.

In alcune situazioni, attraverso il videogioco esasperato consegniamo i nostri figli alla violenza e non ce ne rendiamo conto. Con una pistola virtuale i bimbi passano un tempo interminabile a sparare ad un nemico, ad un mondo di nemici da cui si deve difendere. In alcuni casi, se ci pensate, i bambini sono lasciati a questo gioco per ore, ora dopo ora. Il valore della vita si fa effimero, virtuale appunto, quasi inesistente. Per prima cosa viene tolta la sacralità all’esistenza, questa idea di inviolabilità che diventa anche una tutela per tutti. Questo concetto viene frantumato dall’obiettivo stesso del gioco, simile per altro ai giochi maschili fatti da sempre. Ma qui ci sono due elementi che vanno considerati: la solitudine con cui si gioca, il tempo (lungo) in cui il gioco diventa la realtà vissuta dal bambino. Finzione e realtà si mescolano, il confine si fa sottile e non è un caso che le cronache riportino di ragazzini che hanno impugnato un fucile e per i motivi più svariati hanno fatto stragi di innocenti. È stato dato loro cibo sbagliato per la loro interiorità, in misure sbagliate.

La vita reale non è un videogioco, la morte è un evento tragico accompagnato dalla sofferenza. Se un bambino percepisce questo della morte, facilmente, per contrapposizione, assimilerà il valore reale della vita e altrettanto facilmente ne avrà rispetto.

Torna il concetto di rispetto, così importante se si vuole educare i nostri figli alla convivenza con gli altri, ma prima ancora alla convivenza con se stessi.

Il rispetto è un valore e i valori sono i paletti che puntellano la nostra vita interiore.

Allora con attenzione scegliamo non solo cosa cucineremo per cena oggi, ma anche che tipo di cibo daremo in termini di interiorità ai nostri ragazzi, ricordandoci che quanto loro sentono o vedono, nel tempo si trasforma in cibo.

Buona scelta, buona qualità di vita con i vostri bambini.

Mariella Lunardi

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2 ottobre 2013 3 02 /10 /ottobre /2013 14:40
A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. Settembre/ottobre 2013

Fidarsi è così difficile. Fidarsi e lasciare nelle mani altrui i nostri figli. Sicuramente la società attuale non crea condizioni tali per cui la delega possa essere serena. Purtroppo, e voglio sottolineare purtroppo, spesso sentiamo denunce inquietanti di adulti che in qualche modo abusano dei minori. Non parlo solo di abusi fisici, ma anche di quelli psicologici, meno evidenti, ma non per questo meno gravi. La lista degli adulti che compiono tali infamie è lunga: insegnanti, medici, religiosi, genitori… è una lista infame perché le figure sopra citate dovrebbero operare a tutela delle persone in generale e dell’infanzia in modo specifico, perché è proprio l’infanzia il luogo sacro, inviolabile, che va tutelato e accudito con ogni cura.

Allora, quando si sente che gli adulti calpestano questo luogo sacro, non lo rispettano, in qualche modo lo violentano, fidarsi diventa quasi impossibile, un atto doloroso. Un genitore fatica a fidarsi di qualsiasi estraneo a cui deve affidare il figlio e questa mancanza di fiducia può essere fonte di alcune problematiche.

Cercherò di spiegarmi. Tutelare il bambino, vigilare che venga rispettato, che tutto proceda nei modi migliori è un dovere. Il problema può nascere quando il genitore deve necessariamente affidare il figlio ad altre agenzie educative, la scuola in primo luogo, e non si fida. Cosa succede allora? Papà e mamma si trovano nella difficoltà di schierarsi dalla parte dei docenti, non riescono ad abbandonare il bambino all’esperienza educativa che lo aspetta, lasciandolo navigare da solo dentro l’esperienza scolastica con il suo timoniere che in questo caso è l’insegnante.

Per riuscire a dare spazio totale all’insegnante, il genitore deve compiere un atto di fiducia pieno, totale ed è questo passaggio che risulta difficoltoso. Ma necessario. I bambini lasciati a sperimentare la loro realtà (parliamo naturalmente di realtà tutelate!) hanno la possibilità di crescere e imparare l’arte della vita che è fatta di camminate ( e quindi di progressi), ma anche di cadute (i numerosi insuccessi che tutti noi viviamo). Sono proprio le cadute che non piacciono ai genitori che vorrebbero sempre i loro figli felici e in piedi. Vorrebbero vederli sempre forti. Ma la vita non è così e l’esperienza scolastica è anche esperienza di vita. Le piccole cadute obbligano i bambini a cercare modalità nuove per rialzarsi e così facendo realmente imparano strategie di crescita, fanno esperimenti, maturano. Si fortificano.

Quando un figlio cade, il genitore dovrebbe fare un passo indietro e schierarsi a fianco del docente. Dovrebbe guardare il bambino da lontano e fidarsi dell’esperienza che l’insegnante propone, magari con un richiamo al piccolo o con un voto che non è positivo.

Invece spesso i genitori sono tentati di valutare personalmente il voto assegnato oppure criticano il richiamo che il figlio ha ricevuto, molte volte in presenza del minore e il tutto nel tentativo di annullare lo stato di sofferenza e di frustrazione che deriva dalle esperienze che il bambino è chiamato a vivere.

Si tratta di piccoli fallimenti che però servono al figlio per sperimentare se stesso, anche quando non ce la fa e quindi non è all’altezza delle aspettative di mamma e papà. Il bambino ha il dovere di poter da solo trovare il modo di riemergere e un buon docente di fronte a un richiamo o a un insuccesso dovrebbe sempre indicare allo scolaro le modalità per risolvere e superare le varie situazioni difficoli che si presentano. L’alunno deve seguire queste indicazioni e il genitore si deve fidare della strada educativa indicata dall’insegnante.

Fidarsi quindi e cedere il passo, lasciare il posto, rimanere in disparte. Accettare. Come? Sempre vigili, certo, perché i figli sono minori e sono il nostro bene immenso. Sempre vigili, quindi, ma permettendo al piccolo di fare le sue esperienze e per esperienze intendo tutte, anche quelle dolorose. Stiamo parlando di esperienze piccole, che preparano però alla capacità, un domani, di gestire esperienze più importanti. Seminiamo per il futuro dei nostri figli.

La vita prevede la semina in autunno, il gelo dell’inverno per aspettare il fiorire della primavera che sfocerà nella pienezza dell’estate.

L’esistenza spesso deve attraversare il gelo dell’inverno per godere poi del sole estivo. Serenamente.

Buona qualità di vita con i vostri figli!

Mariella Lunardi

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21 settembre 2013 6 21 /09 /settembre /2013 14:32
A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. Luglio 2013

Tempo di vacanze. Estate. Tempo per dedicarci del tempo.

Cosa c'è di più piacevole di dare spazio alla lettura? Trovare un tempo tranquillo, rilassato per prendere un libro e farci un bagno dentro?

Un tuffo nelle parole scritte da altri.

Generalmente l'adulto non fatica a ricavarsi questo spazio quando è in vacanza. Si organizza. Forse, però, non prende in considerazione l'idea di trovare un momento per leggere a voce alta le storie al proprio figlio. Non ci pensa. Invece la vacanza può trasformarsi nel luogo dell'incontro, della relazione con i piccoli e questo può avvenire grazie a un libro.

I bambini amano sentire leggere le storie e amano più intensamente chi con una certa regolarità si offre a questo dono. Perché una storia letta si fa dono: di tempo, di contenuto, di piacere, di vicinanza. Un genitore, un nonno, un adulto che si ferma e legge le storie a un bimbo gli dice:"Io ci sono, sono qui per te." Il bambino respira questo dono e si rilassa viaggiando in mondi sconosciuti, in trame che solo gli autori conoscono.

È il viaggio della fantasia che supera gli orizzonti del mare, scavalca le cime delle montagne, oltrepassa i tetti delle città. Allora il tempo della lettura si fa caldo di relazione: io che leggo, tu che ascolti e il libro.

Tutto sparisce e la vacanza diventa il luogo del l'opportunità negata durante l'anno: stare con i propri figli e godere della loro presenza seminando in modo costruttivo. Per la mente.

Buona qualità di vita con i vostri figli.

Mariella Lunardi

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9 luglio 2013 2 09 /07 /luglio /2013 15:01

Perche' leggere a voce alta ai nostri figli? Perché dover trovare, nella frenesia delle nostre giornate, un tempo per la lettura?

Individuare una motivazione forte per anteporre la lettura alle molteplici incombenze che quotidianamente bussano alla porta dei nostri impegni è fondamentale. Ma deve essere una motivazione importante, di un certo peso, che ci spinga a mettere da parte lavori domestici, impegni fuori casa, doveri vari; una motivazione che faccia spazio appunto alla lettura.

Allora vediamo insieme dove possiamo cercare una motivazione di tale efficacia da smuovere le nostre abitudini.

Abbiamo molti beni: materiali, economici, di varia natura. Per un genitore, comunque, il bene per eccellenza resta il proprio figlio. Amiamo i nostri bambini con tutto il nostro cuore e, ne sono certa, siamo disposti a fare qualsiasi cosa per loro.

Il punto è questo: esistono delle priorità nel nostro “fare” per i nostri figli?

Sicuramente l’accudimento fisico, scolastico, educativo è una priorità irrinunciabile. La cura, la protezione sono un obbligo nei confronti di un minore e diventano una gioia se rivolte a un figlio.

Ma all’interno dei mille gesti che quotidianamente compiamo per accudire i nostri bambini, la relazione affettiva occupa uno spazio sempre più ristretto. Siamo troppo presi dalle incombenze pratiche, siamo in affanno di tempo e ci preoccupiamo principalmente che tutti i bisogni materiali vengano soddisfatti: mangiare, vestire, attività fisica, compiti scolastici…

In questo vortice di azioni, per altro fondamentali, corriamo il rischio di dimenticarci che la relazione ha fame di tempo, ha sete di attenzione, è ingorda di dialogo. La relazione ci vuole fisicamente, richiede la nostra attenzione, la disponibilità d’animo a matterci in contatto con l’altro, il tempo per l’ascolto, l’incontro fisico, le conversazioni del cuore…

In poche parole la relazione dice a gran voce:”Io ci sono, sono per te.”

Allora la lettura, nel nostro quotidiano, diventa uno strumento della relazione. Leggere a voce alta ai nostri figli non è solo un’opportunità culturale che offriamo(tutti conosciamo i benefici della lettura nell’istruzione di un bambino). Leggere si fa spazio relazionale: io e mio figlio di fronte a un libro. Tutto si trasforma: un tempo magico per entrare nelle storie, una voce calda per accompagnare il piccolo nel mondo dei sogni, una presenza fisica che penetra nel mondo dell’infanzia e si fa a misura di bimbo per viaggiare con lui nella fantasia degli intrecci dei racconti.

È un tempo straordinario, prezioso, dove le distanze tra adulto e minore si annullano perché navigano insieme, genitore e figlio, nella dimensione fantastica del sogno, del tutto possibile, dell’irrazionale: la dimensione appunto delle storie.

Ma c’è di più. I racconti diventano terreno fertile per porre domande, instaurare un dialogo, confrontarsi proprio utilizzando il contenuto dei racconti letti. Ogni storia porta con sé un messaggio, non è un racconto vuoto, ci parla, dice cose, fa riflettere. Noi possiamo utilizzare proprio i messaggi delle storie per parlare con i nostri figli. Lo facciamo in un terreno a loro familiare: le avventure dei personaggi. Allora il dialogo diventa più semplice e indagare nel mondo affettivo meno faticoso.

Hai a volte paura anche tu come il protagonista della storia?

Ti senti rifiutato anche tu come è successo a lui?

Oppure ti capita di rifiutare qualcuno?

Quando sei stato coraggioso come il protagonista?

Sono solo alcuni esempi delle proposte di dialogo che possiamo instaurare utilizzando le storie. Un dialogo che non è più basato sul fare: hai fatto i compiti, hai mangiato, ti sei vestito? È un dialogo che si basa sull’essere: come ti senti, hai delle paure, hai dei sogni?

Allora sì che il nostro tempo si fa pregnante di relazione perché noi non siamo mai quello che facciamo, siamo sempre quello che proviamo.

Buona qualità di vita con i vostri figli. Mariella Lunardi

A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. Giugno 2013.
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