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19 settembre 2017 2 19 /09 /settembre /2017 20:10
I libri talvolta sono come un paio d'occhiali che ci permettono di meglio vedere ciò che ci scorre innanzi e questo è sicuramente il caso di The Store il nuovo thriller di James Patterson che arriverà in libreria il 14 settembre per Longanesi.
The Store è il più grande negozio online del mondo che – come recita lo slogan – “sa i tuoi bisogni prima che li sappia tu”: non solo può consegnare in tempi brevissimi ogni cosa di cui i clienti hanno necessità grazie all’utilizzo di droni, ma riesce a prevedere e anticipare le esigenze dei consumatori.
Oggi The Store, Amazon, è una realtà che sta cambiando i comportamenti d’acquisto e che come riportato da recenti notizie di stampa in America sta cambiando radicalmente la struttura
commerciale vista la crisi che ha colpito la grande distribuzione organizzata con la chiusura di intere catene e perdita di posti di lavoro.
Dietro il suo successo, c’è sicuramente un elemento di forte innovazione che ne rende più competitiva l’offerta commerciale rispetto agli altri operatori e alla stessa Grande distribuzione; ciò che però per me non è chiaro ai più, e il libro di Patterson in parte lo mette in evidenza, è la conseguenza sulle nostre vite e sul sistema delle imprese e su alcuni importanti principi che sin qui hanno retto le società occidentali.
L’efficienza del suo servizio è infatti frutto anche di:
Condizioni di lavoro: in più occasioni con articoli e libri si è dimostrato che in Amazon i lavoratori devono rinunciare ad alcune delle conquiste ottenute grazie alle lotte sindacali del secolo scorso; tra i lavoratori molto penalizzati sono ad esempio i corrieri che devono garantire tempi di consegna rapidissimi a prezzi sempre più contenuti.
Tassazione: una recente denuncia dei colleghi inglesi, ha dimostrato che nel corso del 2016 Amazon ha aumentato del 54% il suo fatturato in Uk, ma cosa strana ha ridotto di circa il 50% il valore delle imposte pagate, passate da 15,8 mln di sterline del 2015 ai 7.4 mln di sterline del 2016.
La riduzione del costo del lavoro e del livello delle imposte rappresentano due significativi vantaggi competitivi che Amazon oggi ha rispetto al resto delle imprese con le quali si deve confrontare, vantaggi che le permettono di far pagare meno i suoi servizi e di investire maggiori risorse nello sviluppo delle sue strutture; questo vantaggio competitivo è però pagato da noi tutti con la chiusura di aziende e la perdita di posti di lavoro, che potranno essere anche ricollocati in Amazon ma con minori tutele sindacali, e quindi con un deterioramento delle condizioni complessive di vita. Che l’elusione fiscale operata da Amazon, come da altri colossi del web, sia oggi un reale vantaggio competitivo a danno della collettività e della concorrenza di mercato, lo dimostra la recente vicenda che ha visto coinvolta Google Italia che proprio a seguito della transazione con il fisco italiano (304 mln di euro) ha dovuto rivedere il suo bilancio 2016 che da attivo ha chiuso in passivo per 60 mln di euro e con un patrimonio netto negativo di 47 mln che ha richiesto un’importante ricapitalizzazione della società controllante per 57 mln, situazione questa che molto probabilmente a detta degli analisti potrebbe ripetersi anche per il 2017.
Oltre a questo però è chiaro che la concentrazione della produzione di ricchezza in operatori che versano meno imposte ha come riflesso meno risorse disponibili per gli investimenti pubblici, con conseguente riduzione di servizi, e ancora quindi con un peggioramento delle condizioni di vita.
E infine il dato per me più preoccupante è quanto Patterson ci racconta, ovvero che grazie al comportamento del consumatore, Amazon e i grandi store online, conoscono del consumatore i
gusti, gli interessi e le inclinazioni e quindi sono in grado di costruire un'offerta commerciale ad hoc.
Alì Baba in Cina, l'altro grande store online, come anche Amazon in Usa, hanno aperto strutture commerciali fisiche nelle quali il mix di offerta tiene conto delle abitudini d'acquisto realizzate nel tempo in un determinato territorio.
Se queste sono le strategie che sottendono agli store online e se quindi al consumatore in un prossimo futuro verranno proposti anche nei negozi fisici acquisti in base ai propri gusti, come possiamo pensare che ci possa essere una crescita, uno sviluppo, se viene a mancare la prima molla per l'innovazione ossia la curiosità, la ricerca del nuovo, del diverso nel nostro quotidiano?
In fondo noi librai, che per primi siamo stati coinvolti dal fenomeno Amazon, possiamo testimoniare come nel tempo il consumatore medio abbia perso la capacità di scoprire il nuovo e si sia rinchiuso nella rincorsa al già visto, al già letto, con una ripercussione preoccupante sul fronte produttivo che questa tendenza ha assecondato; e solo grazie al nostro lavoro quotidiano fatto di ricerca di nuove voci, nuove idee, queste ancora possono emergere.
Se all'impoverimento culturale aggiungiamo poi che il proprietario di Amazon ha acquistato il più influente quotidiano d'America e che quindi oltre ad indirizzare i comportamenti d'acquisto, può alimentare campagne di stampa magari indirizzate secondo i propri interessi, e che infine Amazon ha un alto valore di capitalizzazione di borsa, ovvero è fortemente sostenuto dal mercato finanziario, abituato, come ben sappiamo a mettere i soldi a fronte di evidenze economiche certe, cosa che non avviene al momento per Amazon, sorge il legittimo sospetto che dietro a tutto questo vi sia un progetto, un'idea di società con al centro i grandi players dell'online che prevaricando tutte le regole della civile convivenza, in primis quelle fiscali e del mondo del lavoro, si arricchiscono alle spalle dei consumatori loro clienti, dando a loro la falsa percezione del risparmio, del vantaggio, ma in realtà privandoli della loro privacy e distruggendo le loro società, quasi come novelli vampiri.
E' tempo credo che le nostre istituzioni aprano gli occhi e cerchino di trovare le misure necessarie per evitare tutto questo, per evitare cioè che oltre alla chiusura di centinaia di migliaia di imprese e oltre alla perdita di posti di lavoro, ad implodere siano le nostre stesse comunità statuali e l’idea di civile convivenza che ne è alla base, con l'affermarsi di organizzazioni sociali rette dai grandi operatori online, o meglio dall'unico grande operatore online,” The Store”, come Patterson ci racconta nel suo thriller.
Paolo Ambrosini
Presidente Ali Associazione librai italiani
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28 febbraio 2017 2 28 /02 /febbraio /2017 11:28

Continuiamo il nostro percorso volto a far conoscere quegli editori piccoli, ma estremamente meritevoli, che potete trovare in libreria.
Questa volta tocca a NN Editore, una realtà giunta sugli scaffali circa un paio d'anni fa e che si è fin da subito rivelata attenta alla qualità e ai lettori.
Conosciamola meglio attraverso la voce di Eugenia Dubini, la publisher, che si è gentilmente prestata a rispondere alle nostre domande.

 

Avete fondato una casa editrice in un momento di crisi economica e, anche, editoriale. Cosa vi ha spinto a farlo e con quali obiettivi in mente?

Il progetto di NN ha avuto inizio nel 2013 da una chiacchierata con Alberto Ibba, Edoardo Caizzi e Gaia Mazzolini. Tenevamo gli occhi sull’editoria da sempre, non solo per passione, ma anche perché è sempre stato il nostro lavoro, in luoghi e modalità diverse. In quell’anno la crisi, di cui si parlava da tantissimo tempo, era entrata dalla porta principale. Ma vedevamo spazi aprirsi e cambiamenti interessanti profilarsi all’orizzonte.

Per noi, la sfida è nella presenza e nella proposta, nella qualità di entrambe, nella comunicazione possibile, nell’attivazione di un discorso e di una o più comunità (quelle fisiche e non solo quelle immateriali o tecnologiche). Ci sembrava che stesse cambiando qualcosa, si parlava di identità degli editori in via di scomparsa e di lettori inesistenti, ma quello che si stava rivoluzionando, in barba alle profezie di fallimento, era invece la lettura, il modo di leggere, di leggere insieme, di comunicare i libri, di sentirsi lettori. Stavano cambiando i lettori, o meglio la loro identità si stava mettendo in relazione. Come NN, quindi, ci sembrava possibile aprire spazi di comunicazione del libro e delle sue parole che non erano stati ancora sperimentati. Abbiamo avuto fiducia in questa intuizione.

 

Se un lettore dovesse approcciarsi al vostro catalogo per la prima volta, da quali titoli gli consigliereste di iniziare? Inoltre avete fin da subito deciso di non dividere i vostri titoli nelle classiche collane, ma di dividerli in serie. Ci potete spiegare cosa sono queste serie e da dove nasce questa decisione?

Il filo conduttore delle nostre scelte è il racconto del mondo contemporaneo, la ricerca dell’identità nel nostro tempo, la confusione di ruoli che uomini e donne vivono ogni giorno. Fin dalla decisione che il nostro nome sarebbe stato NN (nomen nescio, come nella carta d’identità degli ‘orfani’ di padre), abbiamo voluto dare risalto a questo nodo, a questa confusione in cui siamo immersi.

Il tema dell’identità è il tema della letteratura per eccellenza, ma seguirlo per proporre i libri di NN, al di là dei generi, e della nazionalità degli scrittori, ci sembrava una cosa diversa, un diverso modo di parlare ai lettori. È un percorso di lettura. Ed è un’identità di editore – nulla di nuovo, quindi - che si mette in relazione con un’altra identità, quella del lettore. Ecco in sintesi il discorso. Così abbiamo deciso che questo filo di proposta sarebbe stato un vincolo nella scelta, insieme alla qualità della scrittura, e abbiamo strutturato il catalogo in serie e non in collane, seguendo un filo tematico o un punto di ispirazione comune per comunicare il percorso, anche il nostro, di editori e di lettori.

Questi percorsi partono da Benedizione di Kent Haruf e da Sembrava una felicità di Jenny Offill e passano per tutti i libri, fino a oggi, con Il saltodi Sarah Manguso e Bull Mountain di Brian Panowich in uscita a marzo 2017. In mezzo ci stanno i racconti di Poissant, Panorama di Pincio, il noir di Joseph Incardona e il memoir di Brian Turner e tutti gli altri libri. Sono i lettori che seguono i percorsi suggeriti, o seguono gli autori, o seguono una serie particolare.

 

Almeno per quello che mi è dato da vedere dall'esterno, sembra che NN abbia colpito nel segno fin da subito. Haruf in particolare, ma non solo, ha saputo conquistare molti lettori. Secondo voi è finalmente il momento (storico? Culturale?) giusto per i piccoli editori che sanno osare e puntano sulla qualità?

NN ha avuto un’accoglienza imprevedibile, molto più di quanto sognassimo. Quando ci penso, mi commuovo. Non potevo immaginare proprio tanta affezione alla lettura e ai libri sorgere spontanea e generosa da ogni parte, in tutti i protagonisti di questa nostra avventura, librai, promotori, lettori, traduttori, redattori ecc. Mi sono stupita di quanto appoggio, calore e collaborazione noi si sia stati capaci di attrarre, e questo semplice fatto, incontestabile, mi convince sempre più che si debba fare attenzione a parlare di distacco, di disinteresse, invece che lavorare per chi continua a leggere e ad amare i libri e le parole dovunque queste si trovino.

Haruf è stato il primo autore in cui abbiamo creduto, tanto da comprare subito tutta la trilogia e prima ancora di essere in libreria, anche il suo ultimo libro, Le nostre anime di notte, che nella settimana dell’uscita, il 12 febbraio, è andato in classifica (al primo posto assoluto nelle librerie, al terzo contando anche le vendite nella Gdo). È un risultato eccezionale, frutto di due anni di lavoro durissimo, che ci rende felici.

Ma ci rendono molto fieri anche i risultati di molti altri libri NN, non solo in assoluto ma nel processo, visto che sono risultati tuttora in evoluzione, sono libri su cui noi stiamo ancora lavorando oggi, e con noi i librai, quindi la loro durata in libreria è molto più lunga del normale. E questa è la cosa che più ci riempie di gioia e che torna a confermare il progetto.  

Non credo che sia tanto e solo la qualità dei piccoli editori a fare la differenza, perché la qualità dei libri è per fortuna molto più diffusa di quanto si dica. Quello che cambia, spesso, è la strategia editoriale, cioè la scelta su cosa puntare e come farlo. Oggi è fondamentale per tutti ripensarci. È un momento di cambiamento. E c’è un grande fermento culturale e imprenditoriale di nuovi piccoli e grandi marchi che si affacciano sul mercato. Non solo nell’editoria ma anche nelle librerie.    

 

Siete una casa editrice molto in contatto col vostro pubblico, tramite la rete (facebook, twitter, ma anche una bellissima newsletter e ora anche il blog) ma anche nella realtà, penso ad esempio al lancio di "Le nostre anime di notte" o al ‘documento’ che avete creato a supporto dei gruppi di lettura. Come mai questa scelta? Puro marketing o c'è dell'altro? La presenza costante del lettore può risultare utile?

Quello che cerchiamo di fare è fornire più strumenti possibili per comunicare il libro e informare le scelte di lettura, che sono un momento molto delicato per i lettori. I libri sono tanti, ci sono tanti libri bellissimi.

Se si parla di marketing in editoria la reazione è di rifiuto, una reazione allergica. Ci troviamo quindi spesso davanti a comportamenti opposti e speculari, grandissime operazioni di marketing da un lato e libri abbandonati a se stessi sugli scaffali, dall’altro. Noi intendiamo il marketing per quello che è, cioè lavorare su prodotto, prezzo e comunicazione del libro per farlo arrivare a più persone possibili. Abbiamo lavorato sul prodotto, scegliendo il progetto grafico di Mario Piazza e poi la carta, morbida e naturale, e tenendo conto di peso, caratteri e illustrazioni. Abbiamo lavorato molto sulle copertine, sui testi e sui colori, e in quarta dedichiamo ogni libro a un lettore, che proviamo a descrivere. Pubblichiamo per ogni libro la sua colonna sonora, il songbook, e se abbiamo materiali interessanti legati alla lavorazione (corrispondenza con il traduttore o con l’autore stesso) li condividiamo con i lettori. Nelle pagine finali di ogni libro, da gennaio di quest’anno, metteremo le pagine bianche di NN, che saranno appunto pagine bianche, per gli appunti, oppure pagine di percorsi di lettura all’interno del catalogo, seguendo fili conduttori legati al tema, legati all’autore, oppure legati alla scrittura.

Ragioniamo su tempi di uscita e prezzi, facciamo schede per la promozione più ricche possibili, e cerchiamo di mantenere i programmi, a volte perdendo il sonno, ma solo perché questi piani coinvolgono altri professionisti, come i promotori e i librai che costruiscono le loro proposte anche in base alla nostra comunicazione e tempistica.

Abbiamo costruito un catalogo fatto apposta per i Gruppi di lettura, mentre per ogni libro facciamo cartoline e segnalibri. Talvolta le borse. Ma risparmiamo sul catalogo generale, per adesso, rimandando al sito. E comunichiamo il più possibile, su tutto, sia sui social sia ogni mese con una newsletter. Cerchiamo di raccontare anche un po’ di noi, del lavoro editoriale, delle nostre scelte. Siamo noi stessi lettori, in ogni fase della lavorazione e della comunicazione del libro.

Da poco abbiamo aperto un blog, Sabotino14, che non è un blog letterario ma un ibrido, dove raccontiamo le nostre storie, coinvolgiamo gli autori e i lettori, pubblichiamo schede di lettura e racconti della vita di redazione e tutti i materiali che ruotano attorno ai libri o ai suoi contenuti.

Nel 2017 abbiamo iniziato anche a pubblicare l’oroscopo di ogni libro, ce lo prepara Nicola Lazzari guardando il cielo nel giorno e nell’ora in cui viene confezionata la prima copia di ogni nostra uscita. E, in alcuni casi, abbiamo usato inserzioni pubblicitarie, prima solo sulla radio, poi anche sui giornali, ma non sono mai stati strumenti calati dall’alto, solo azioni di rinforzo di comunicazione su tendenze già in atto, un sostegno al tanto osannato e spontaneo passa parola dei lettori.

 

E, per concludere, un classico: progetti futuri che dovremmo attendere con ansia?

Ci sono progetti in fase di elaborazione, come i corsi NN, e altri progetti più definiti: stiamo per chiudere la squadra di autori della nuova serie di libri, sul modello di Viceversa, che sarà accompagnata da Alessandro Zaccuri. Poi ci sono le fiere, le letture, i progetti con le librerie e i gruppi. Infine, ma non ultimi, ci sono tutti i libri in uscita: la trilogia americana di Tom Drury, di cui uscirà il primo libro, La fine dei vandalismi, ad aprile di quest’anno; In gratitudine di Jenny Diski, i racconti di Megan M. Bergman e quelli di Antonio Franchini. Non proseguo l’elenco, ma questo insieme di cose, corsi, serie, fiere, letture, progetti e libri, sono per noi un unico grande progetto futuro, e ogni tassello ne è un mattone e insieme sono un ponte tra noi e i lettori, un’avventura da vivere e condividere, ogni giorno.

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25 novembre 2016 5 25 /11 /novembre /2016 11:20

Ci sono cose che ci sono famigliari e altre che semplicemente non conosciamo. Questo perché i grandi marchi possono permettersi maggiore pubblicità e spazi espositivi più ampi. Non necessariamente, però, il conosciuto è migliore del poco conosciuto.
Tutto ciò è vero anche quando si entra in una libreria.
Alcuni editori si conoscono molto bene, per esempio Mondadori, Rizzoli, Garzanti, perché ci accompagnano da sempre, perché li si vede in tv, perché hanno pile di libri alte come un albero di Natale. Ma la libreria è anche un posto dove si possono avvicinare realtà più piccole ma assai meritevoli, perché tra i pregi delle librerie c’è proprio quello di poter, con l’aiuto del lettore, espandere le nostre visioni.
Ecco che abbiamo pensato di iniziare un viaggio tra realtà numericamente ‘minori’ ma qualitativamente significative. Attraverso alcune interviste potremo conoscere editori che non si erano ancora notati, che non si erano ancora letti, ma di cui ci potremmo innamorare.

Iniziamo oggi con Jo March, una realtà che vuole riportare ai lettori testi dimenticati ma che si meritano un posto tra i classici.
Un grande grazie a loro per la disponibilità e una buona lettura a voi.

 

Per prima cosa, grazie mille a voi ragazze di Jo March per aver accettato di rispondere ad alcune domande volte a farvi conoscere ai lettori.
Partirei quindi proprio dalle basi chiedendovi come e perché nasce la vostra realtà editoriale e come mai avete scelto proprio la Jo di Piccole Donne come vostro ‘simbolo?

La nostra realtà editoriale nasce da una duplice passione per la letteratura europea e l’editoria. Nostro sogno era quello di far collimare in una impresa editoriale un attento lavoro di ricerca letteraria, facendo della qualità redazionale e della cura grafica due capisaldi fondanti della nostra attività. Abbiamo quindi scelto l’eroina di “Piccole donne”, uno dei più bei classici di tutti i tempi che ha segnato la nostra generazione e le nostre infanzie, dal quale abbiamo preso in prestito il nome della protagonista Jo March. È un personaggio straordinario, che ama profondamente la scrittura e che nonostante le avversità del suo tempo e le difficili condizioni della sua famiglia, riesce nel suo intento e si afferma come donna, scrittrice, insegnante. Ribelle e determinata, il “maschiaccio” della famiglia March è il nostro alter ego ideale, per questo abbiamo scelto il suo nome quando abbiamo deciso di aprire una casa editrice.

 

Secondo voi cosa possono offrire ai lettori d'oggi questi classici dimenticati che riportate in libreria?

La scrittura dell’Ottocento, periodo storico al quale ci riferiamo nello specifico, è profonda, ricca, evocativa… in un modo che probabilmente non riuscirà mai più a essere emulato in letteratura. La narrativa ha raggiunto in quel secolo il suo vertice e oltretutto va a toccare tematiche molto importanti che caratterizzano la modernità ancora oggi. Nei classici di quel periodo è possibile quindi trovare la radice culturale e storica del nostro tempo, le contraddizioni e la terribile bellezza di un’epoca in cui tutto era in perenne divenire, se pensiamo alle rivoluzioni industriali, alle trasformazioni sociali e alla lotta politica che ha contraddistinto tutta l’Europa. Un lettore contemporaneo può quindi scoprire in un classico dell’Ottocento l’origine del mondo di oggi catapultandosi in un’era che è però diversa e quindi affascinante sotto tutti i punti di vista, trovando rifugio in ambientazioni e contesti lontani nel tempo e nello spazio.

 

Oltre ai classici, proponete anche delle specie di 'percorsi di lettura', come il libro dedicato ai luoghi di Jane Austen e la recente biografia della Gaskell. Come mai questa scelta? Un modo differente per portare l'autore ai lettori? Per farlo conoscere meglio?

Le grandi opere letterarie, come quella della straordinaria Jane Austen, destinate a rimanere nella storia della letteratura mondiale di tutti i tempi, hanno reso immortali i loro autori. Conosciamo lo scrittore attraverso le storie dei suoi romanzi, ma molto spesso è lui stesso protagonista di una storia incredibile, di un vissuto significativo che è bello poter riscoprire: in questo modo ci pare che quell’autore sia ancora qui accanto a noi. Inoltre attraverso la scoperta delle sue vicende biografiche, la lettura e l’interpretazione dell’opera stessa acquisisce senz’altro un altro sapore.

 

Ho notato che, almeno per ora, tutti i vostri titoli sono firmati da donne. Credete che le donne siano state le vittime principali di questa ‘dimenticanza’ letteraria che ha tolto alcuni grandi romanzi dai nostri scaffali ?

Ci piace molto com’è stata formulata questa domanda. In effetti, pur avendo per il momento in catalogo quasi esclusivamente autrici donne, non è un approccio di genere e quindi femminista che perseguiamo. Nel nostro catalogo ospitiamo anche illustri gentiluomini, come Charles Dickens e Wilkie Collins. Nostro scopo è primariamente di riportare alla luce opere letterarie che sono state a torto dimenticate, ed effettivamente buona parte di queste sono state scritte da donne. La condizione femminile oggi è profondamente mutata, ma sappiamo che non è sempre stato così e le donne hanno dovuto faticare moltissimo per affermarsi come intellettuali, scrittrici, artiste e umaniste al pari degli uomini. Hanno senz’altro fatto più fatica dei colleghi uomini per essere apprezzate dal pubblico e in primis dal mondo della critica letteraria, anche quello storicamente appannaggio degli uomini.

 

C'è un titolo di quelli da voi pubblicati a cui vi sentite più legate?

“Nord e Sud” di Elizabeth Gaskell è la nostra prima pubblicazione, da noi probabilmente la più amata, aspettata, tormentata e che ci riempie di orgoglio e soddisfazione. È un libro la cui storia redazionale ed editoriale racchiude i sacrifici e le emozioni del nostro esordio. È un romanzo che ci ha dato tantissimo, come opera letteraria e come lavoro editoriale, così complesso e quindi così vissuto e intenso.

 

Che titoli consigliereste, del vostro catalogo, a dei lettori che si avvicinano alla vostra realtà per la prima volta?

Forse consiglieremmo di seguire l’ordine di pubblicazione, in fondo rappresenta la nostra storia editoriale e ogni tassello racconta di noi.

 

Potete già svelarci cosa ci riserverà Jo March per il futuro?

Abbiamo tanti progetti in cantiere, di cui siamo molto soddisfatte e in cui crediamo moltissimo. Diciamo solo che sono in preparazione i romanzi di un’autrice che è una fuoriclasse della letteratura; ma non solo, stiamo vagliando molti altri testi; continueremo a occuparci dei Quaderni, abbiamo in programma di raccontare le vite di alcuni autori molto importanti, e ci sono altre novità molto interessanti che però non vogliamo svelare!

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8 ottobre 2015 4 08 /10 /ottobre /2015 10:00

In occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, Il canto del ribelle, abbiamo intervistato Joanne Harris che, molto gentilmente, ha accettato di raccontarci qualcosa sulla sua passione per la mitologia norrena e su questo nuovo lavoro fantasy.
La ringraziamo per la sua disponibilità e gentilezza e vi invitiamo a leggere questa chiacchierata.

 

1. Vorrei iniziare l’intervista partendo dalle basi e chiedendole come mai le piacciono così tanto i miti nordici e in particolare la figura di Loki.

Forse perché le tradizioni dello Yorkshire sono strettamente intrecciate con la storia degli invasori vichinghi, ma comunque ho sempre trovato i loro miti interessanti. È una cultura molto vivace, con un 'cast' meraviglioso di personaggi e un’immagine del mondo piuttosto unica. Riguardo a Loki, lui è di gran lunga la figura più interessante e dinamica nel pantheon norreno. È anche il più incompreso. Questo è parzialmente dovuto al fatto che i miti nordici originali (tramandati e arricchiti lungo i secoli da una lunga e antica tradizione orale) sono stati quasi interamente persi, ed esistono oggi solo come resoconti frammentati messi per iscritto dagli studiosi cristiani. D’altra parte, il suo personaggio è così complesso e misterioso che non smette mai di essere rilevante.

 

2. I miti norreni sono una miscela di molte storie e versioni. Quali tipi di ricerche ha svolto (se ne ha svolte)? E ha selezionato qualche evento particolare piuttosto che altri?

Sto facendo ricerca su questi miti fin da quando sono bambina. Ho perfino imparato l’islandese antico in modo da poter leggere i testi in originale. Sono testi antichi, e la storia è incompleta, quindi la mia sfida è stata quella di metterli in una sorta di ordine logico, oltre che riempire alcuni ‘buchi’, e cercare di dare una sequenza lineare a racconti che, fino ad oggi, non sono davvero esistiti in un ordine specifico. Alcuni pezzi di congiunzione sono di mia invenzione, ma ho cercato di usare il più possibile il materiale di partenza, quindi molti dei miti principali si trovano nel libro.

 

3. Come è riuscita a entrare nella mente di Loki? E come si è sentita a vestire i suoi panni?

È stato molto divertente, e sono stata capace di giocare sia con lo humour del personaggio che con il suo senso di alienazione e rivolta.

In un certo senso lui è molto l’imbroglione archetipico, come raffigurato nell’Edda di Snorri. Nei miti originali, noi non arriviamo a conoscere niente riguardo i pensieri di Loki e le sue motivazioni. La descrizione più lunga e completa della sua voce e della sua natura è un testo dell’Edda Poetica chiamato Lokasenna (una sorta di scambio rituale di insulti, parte di una lunga tradizione nella cultura norrena), nel quale Loki, imbucandosi ad una festa alla quale non era stato invitato, insulta a turno tutte le divinità. Ho iniziato con questo testo in mente. Mostra Loki come rancoroso, sprezzante, derisorio e crudelmente divertente, sebbene nell’Edda non ci siano molte spiegazioni su come sia arrivato a quel punto.

Siccome Il canto del ribelle è scritto nella voce di Loki, il risultato è un monologo interno di Loki, con le sue piccole divagazioni, le sue osservazioni sulla vita, le sue concise descrizioni degli dei, i dettagli della sua esistenza e la sua vita emotiva. È un narratore molto inaffidabile, e lo dice dall’inizio. È anche il più grande narcisista, che sposa una considerazione di se estremamente elevata con grande sdegno di tutti gli altri. Comunque, Loki è anche completamente privo di consapevolezza di sé; assume forma umana e inizia a scendere a patti con nuove e pericolose emozioni umane, inizia a sperimentare il dubbio, l’auto ripugnanza, l’invidia, l’autocommiserazione, il senso di colpa, forse anche l’amore.

 

4. Possiamo dire che questo libro è anche una storia sul potere delle parole? Lei scrive spesso, nel romanzo, che le parole sono le vere creatrici del mondo (e non posso fare a meno di pensare che in inglese word (parola) e world (mondo) sono molto simili). Inoltre le parole che Loki usa per raccontare la sua storia ci permette di cambiare prospettiva sugli eventi. E poi anche le rune sono magiche…

 

Sì, riguarda molto il potere delle parole. Parole magiche, come le rune, ma anche il potere della mente contro il potere della forza bruta. Loki esiste in una società patriarcale dove quasi ogni problema viene risolto con un conflitto, e sebbene lui non abbia mai tirato un pugno, riesce a sopravvivere con l’intelligenza, da solo. Quel ‘da solo’ lo rende eccezionale, ed è parte del suo fascino.

 

5. I cattivi sono davvero cattivi? Intendo dire che siamo abituati a pensare a Loki come al cattivo ragazzo della storia, e lui sicuramente non è un santo, ma allo stesso tempo, e lei lo spiega nel libro, non è solo un ragazzaccio, ha anche aiutato molto gli altri ed è parte della creazione del mondo. Pensa che ci sia la tendenza a vedere le cose in bianco o nero?

Sì, penso che lo facciamo, probabilmente per via del messaggio cristiano incorporato nell’Edda di Snorri. Sospetto che il Loki del mito ‘originale’ fosse una figura molto più ambigua. Lo rende più interessante e, essenzialmente, più umano.

 

6. Loki, grazie alla Marvel e all’interpretazione di Tom Hiddleston, è un personaggio oggi molto conosciuto e molto amato. Ma, ovviamente, si tratta di una versione molto diversa dall’originale. Pensa che questo possa cambiare la reale comprensione degli antichi miti? E, nel caso, sarebbe un problema? E cosa pensa che le persone amino in un personaggio di questo tipo?

I miti sono nati per evolvere o morire. Penso sia grandioso che questi miti siano passati attraverso così tante re-immaginazioni. Questo prova che c’è ancora molto da imparare da loro, e la popolarità di Loki in particolare riflette il nostro interesse per il personaggio emarginato e complesso. La sua ribellione contro l’autorità, la sua alienazione sociale, la sua natura auto-distruttiva, tutto riflette aspetti e problemi della nostra società in evoluzione.

 

7. Non mi piace classificare le storie per generi, ma non ci sono dubbi che un lettore italiano che ha iniziato a seguirla con romanzi come Chocolat, Vino, patate e mele rosse, Cinque quarti d’arancia, ecc. fosse probabilmente impreparato alle sue storie fantasy, sebbene lei abbia sempre inserito la magia e il folklore nei suoi romanzi. Anche perché spesso la narrativa fantastica viene considerata un po’ di serie B.
Cosa le piace della letteratura fantasy e cosa pensa possa offrire che la letteratura ‘realista’ non può
?

C’è un forte elemento magico e folkloristico in tutti i miei libri, incluso Chocolat e le alter storie di Vianne Rocher. Non vedo davvero questi libri mitici come significativamente differenti, e nemmeno faccio una distinzione tra ‘realismo’ e fantasy. Usiamo storie, magiche o no, per esplorare idee e, a volte, per esplorare il lavoro del subconscio umano attraverso metafore e analogie. Chiunque pensi che il fantasy sia un genere minore dovrebbe probabilmente leggere qualcosa di Jung e Freud, e considerare che letteralismo non è la stessa cosa di letteratura…

 

8. Lei è molto attiva su twitter e io amo particolarmente il suo #storytime (con questo hashtag Joanne Harris scrive delle piccole fiabe su twitter). Come mai ha deciso di condividere queste specie di fiabe sul web e in questo modo particolare? E cosa sono le storie per lei? E cosa spera che queste storie possano essere per gli altri?

Le storie sono storie. Le persone ci vedono quello che vogliono. Alcune persone ci vedono messaggi, altre intrattenimento. Non penso stia a me di dire alle persone cosa vederci. Le scrivo su twitter perché mi diverte usare un mezzo differente, proprio come scelgo di ricreare alcune delle mie storie di twitter come pezzi musicali e suonarli con la mia band. Ci sono così tanti modi di raccontare e scrivere storie, e mi piace il modo con cui ognuno crea un diverso tipo di narrativa.

 

9. Siamo alla fine e quindi concluderei con una domanda ‘classica’: ci saranno altre storie di Loki? E di Maddy?

Sì, penso che probabilmente ci saranno.

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12 novembre 2014 3 12 /11 /novembre /2014 08:54

Da qualche giorno è tornata in libreria Susan Vreeland, una delle più conosciute autrici che si occupano di narrativa strettamente legata al mondo dell'arte. La passione di Artemisia, Ragazza in blu, La vita moderna, sono solo alcuni dei suoi titoli più apprezzati.

La lista di Lisette, il suo nuovo romanzo, pur rimanendo profondamente legato ai temi dell'arte, costituisce una sorta di svolta nel percorso della Vreeland. Le abbiamo fatto qualche domanda per saperne qualcosa di più e per scoprire alcune cose chi riguardano il suo lavoro.

1. L'ultimo suo lavoro, Una ragazza da Tiffany, è stato pubblicato nel 2010, La lista di Lisette esce quindi dopo quattro anni. Pensa che qualcosa sia cambiato, durante questi ultimi anni, nel suo lavoro?
C'è stato un grande cambiamento nel mio lavoro. In passato ho scritto romanzi che avevano a che fare con un artista o un quadro. Però ho iniziato a sentire che in termini di sviluppo personale, come scrittrice, dovevo abbandonare quel modello sebbene mi avesse dato molta gioia per un decennio. Sentivo di aver bisogno di staccarmi da qualsiasi cosa di biografico e inventare completamente una storia con dei personaggi principali immaginari, permettendo tuttavia al romanzo di illuminare qualche opera d'arte e più di qualche artista.

2. Leggendo le sue storie mi sono sempre chiesto se lei inizia un nuovo libro scegliendo un capolavoro che conosce e del quale vuole assolutamente scrivere, o se invece è più una questione di amore a prima vista, e quindi inizia a lavorare a qualcosa che la colpisce.
Molto spesso è capitato che scoprissi un'opera d'arte e quindi mi mettessi a scrivere, come ho fatto con La vita moderna, o un artista, come ho fatto con L'amante del bosco e con La passione di Artemisia. L'eccitazione della scoperta è quello che ha acceso in me il desiderio di scrivere. Comunque, La lista di Lisette è nato in un modo piuttosto diverso: visitando il paese di Roussillon, apprendendo della miniera d'ocra con la quale venivano fatti i pigmenti per i pittori, e anche nello scoprire che Marc Chagall si nascose nelle vicinanze durante la seconda guerra mondiale. Il furto dell'arte da parte degli ufficiali nazisti ha pure stimolato il mio desiderio di scrivere un romanzo nel quale questa cosa fosse un elemento. In questo caso, la scelta dei dipinti è avvenuta più tardi nella mia concezione del romanzo.

3. Credo che una delle cose più belle dei suoi libri sia il fatto che lei mostra l'arte in molti modi diversi. Dalla creazione di un capolavoro alla sua "consumazione". In La ragazza in blu, per esempio, lei parla anche degli effetti che un quadro ha sulle persone che lo osservano. Anche la povera gente, che di certo non ha studiato arte. Pensa che la vera arte sia questo? Qualcosa in grado di colpire tutti, di dare emozioni a chiunque, dalla persona più intelligente alla più analfabeta?
Sì, lo penso. Spero che le persone che non sono educate all'arte scoprano nei miei libri un nuovo tipo di apprezzamento e che lo inseguano dopo aver finito la lettura. E sei nel giusto quando dici che scrivo della creazione dell'arte e del suo consumo e del suo apprezzamento. Mi piace approcciare l'arte da entrambe le direzioni.

4. Qualcuno potrebbe pensare che lei scriva libri sull'arte, ma io penso che non sia così. Lei usa l'arte per raccontare di altre cose. In Una ragazza da Tiffany lei parla dell'emancipazione femminile, in La passione di Artemisia racconta di una ragazza che deve uscire da un brutto passato, ne L'amante del bosco parla di un amore per la terra dove l'artista viveva. Possiamo considerarla una dimostrazione del fatto che l'arte può parlare di tutto? E di cosa parla La lista di Lisette?
La lista di Lisette sviluppa il tema della brama di fare del male, come succede nella guerra, contrastata dalla brama di donare, come nell'aiuto che Lisette offre a Maxime per guarirlo dal suo trauma. Il romanzo suggerisce inoltre la necessità e la benedizione del perdono, della compassione, dell'amicizia, della bellezza nel paesaggio rurale, dell'apprezzamento e della sensibilità nei confronti della gente del proprio paese.

5. Ha detto che Lisette è nata dopo la sua visita a Roussillon. Possiamo dire che una nuova idea può quindi nascere anche per caso? E cosa l'ha colpita di quella città?
Forse è stato il caso a condurmi a Roussillon dove ho scoperte gli elementi che hanno contribuito al romanzo. Per esempio, l'armonia delle case tutte in colori ocra gialla, corallo, ocra arancio, ocra rossa, mostra che la gente di Roussillon apprezza il colore e la bellezza. Parlando dei passaggi nella miniera di ocra, Pascal dice: "Abbiamo costruito l'arcata perfettamente quindi non ha bisogno di travi di legno, e quando guardavi giù lungo la linea della galleria, ogni arco appariva più piccolo di quello vicino. Sembrava una cattedrale, io e Lisette l'abbiamo fatto. Anche la vita di un minatore è migliore quando riconosce la bellezza." Lisette realizza in seguito che lo scopo della vita di Pascal era la sua partecipazione al mondo dell'arte. Lui era un umile collegamento nella catena dalla miniera alla maestosità. E altrove, nel nominare i colori creati dall'ocra grezza, lui dice con riverenza: "Dio ha concepito questi colori, e noi estraiamo le ocre che li fanno! ... C'è della santità nel colore. È la regina dell'arte." Il luogo in sé mi ha portato a riconoscere che potevo scrivere della materia prima per la creazione dei quadri, e non solo dei quadri. Il fatto che questi materiali fossero estratti e rifiniti da gente sconosciuta, umile e modesta in modo che qualcuno potesse creare oggetti di bellezza mi ha commosso profondamente.

6. In questo libro lei parla anche di Chagall e mi sembra che sia l'artista più surreale di cui lei abbia mai trattato, vero? Com'è stato raccontare i suoi lavori? Ha trovato delle differenze nel parlare di questo tipo d'arte rispetto all'arte più classica?
Ho scoperto di voler descrivere molti più suoi eccentrici quadri di quelli che il romanzo poteva 'sostenere', in modo che i lettori lo amassero. Io dovevo fare in modo che i lettori vedessero e apprezzassero la sua bizzarria e non cercare di combinare gli elementi dei suoi quadri in una scena realistica o compararli con lavori più classici. Amare i suoi quadri per quello che sono, rivelazioni della sua immaginazione, è diventata la mia felice scoperta nel processo di scrittura di questo libro.

7. Nella bibliografia che riguarda La lista di Lisette, sul suo sito, ci sono anche dei romanzi. Come li ha usati per creare nuove storie? E ha qualche titolo da suggerirci?
Alphonse Daudet (Lettere al mio mulino) era uno scrittore provenzale le cui storie del suo mulino a vento mostravano le semplici, felici caratteristiche della gente della Provenza, che era connessa alla terra in modi profondi. Irène Némirovsky (Suite Française) ha scritto del disperato esodo delle persone in fuga da Parigi durante la seconda guerra mondiale, e in cerca di rifugio nel sud. Questi due libri hanno portato ad avere una breve scena con dei rifugiati che vivono in un mulino a vento, e il libro della Némirovsky mi ha permesso di avere un personaggio capace di descrivere il panico di quell'esodo. Vortici di gloria di Irving Stone mi ha fatto moltoapprezzare Camille Pissarro, la sua sofferenza e la sua dedizione all'Impressionismo.

8. Siamo alla fine. So che probabilmente non ha ancora iniziato a scrivere qualcosa di nuovo ma... ha già qualche idea?
Ho scritto un romanzo dopo l'altro, senza pause, per un decennio. Mi prenderò almeno un anno per leggere, cosa che non faccio abbastanza mentre sto lavorando alla scrittura di un mio libro. Non vedo l'ora che arrivi questo periodo di arricchimento. Dopo quell'anno, avrò qualche libro di qualcun'altro da suggerire.

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29 ottobre 2013 2 29 /10 /ottobre /2013 23:11
Valentina Casarotto ci parla de "il segreto nello sguardo"

Il libro è nato da una forte suggestione. Nel 2003 lavoravo alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e in una fredda domenica di novembre, quando il museo era deserto, mi sono concessa un po’ di tempo per osservare i pastelli di Rosalba Carriera che allora erano esposti in una saletta molto raccolta. Davanti al suo autoritratto intitolato La tragedia, dipinto dalla pittrice ultrasettantenne a ridosso dei suoi ultimi 10 anni di vita, afflitti da altalenante cecità, mi sono commossa al pensiero del dolore provato da un pittore nel perdere il senso più necessario all’esercizio della sua arte. E così ho scritto di getto quello che poi sarebbe divenuto il prologo del romanzo. Lì per lì ero sconcertata e impaurita del compito che mi si presentava, poiché, se ero consapevole che l’invenzione narrativa sarebbe stata libera di spaziare in ogni direzione, la mia formazione di storico mi imponeva una ricostruzione dell’epoca, dei personaggi, e degli intrecci quanto più fedele al vero.

Così, sorretta da numerosi cari amici che mi hanno incoraggiata, ho iniziato la raccolta della bibliografia, la lettura dei carteggi della pittrice, gli studi sul periodo, che si sono protratti un po’ a rilento fino alla celebrazione dei 250 anni della morte nel 2007. Non avevo abbandonato l’impresa, ma come diceva Marguerite Yourcenar, ci sono libri che non dovrebbero esser scritti prima dei quarant’anni. Ed è stato così. Nel 2010 nel breve tempo di otto mesi ho scritto tutto il romanzo, con una facilità che mi ha sorpresa e che mi sorprende tutt’ora..

Per scrivere ho intrecciato fatti della storia d’Europa e della Repubblica di Venezia con la vita della pittrice e di tutta la sua cerchia di conoscenti e committenti, creando una specie di partita a scacchi di cui sapevo già le mosse dei singoli pezzi, e di cui pian piano scoprivo con uno sguardo d’insieme relazioni e interazioni talora anche inedite.

Soprattutto lo studio del carteggio edito della pittrice ha favorito una sua conoscenza direi intima, forse una forte identificazione, e si è riflessa nella parte inventiva del romanzo e nella scelta coinvolgente dell’Io narrante.

Per mia natura sono una persona immaginifica, e quindi mi sono immersa nella visione dei dipinti e incisioni dell’epoca, Canaletto, Bellotto, Guardi, Longhi, Pellegrini, ma soprattutto Watteau, opere che mi offrivano una scenografia perfetta dove rappresentare lo sviluppo narrativo, e che mi favorito una scrittura immediata e precisa.

La scrittura era aiutata anche dall’ascolto di musica del tempo, che è presente in tutto il romanzo nelle molte occasioni di concerto a palazzo. Su tutti spicca il nome di Vivaldi, ma anche i musicisti francesi Marchand, Forqueray, hanno il loro spazio e i tedeschi quali Bach e Hasse.

Il femminile è molto presente nel romanzo, non solo per la scelta della protagonista, ma per precise e documentate circostanze storiche.

Soprattutto nella seconda parte della sua vita Rosalba Carriera vide effettivamente il suo destino incrociarsi con quello di molte donne letterate come Luisa Bergalli, o cantanti famosissime come Faustina Bordoni, o intraprendenti e anticonformiste come Caterina Sagredo Barbarigo. Donne di carattere e di talento che in quel preciso momento storico a più livelli tentavano di affermare quello che si chiamava l’honore e il merito delle donne. In quegli anni si giocavano partite fondamentali per alcuni diritti che oggi noi diamo per scontati come la possibilità di studiare, di accedere non solo all’istruzione ma anche alla professione di letterata. Spero di aver reso in qualche modo l’importanza di quel momento storico e le voci che hanno contribuito a crearlo.

E su tutte la vita di Rosalba Carriera spicca per grande indipendenza e forte affermazione, soprattutto perché realizzata con una modestia e moderazione priva di eccessi, in una linea sottotono che stupisce per efficacia.

Valentina Casarotto e "Il segreto nello sguardo" hanno vinto il Premio Mario Soldati 2012.

Valentina Casarotto e "Il segreto nello sguardo" hanno vinto il Premio Mario Soldati 2012.

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22 settembre 2013 7 22 /09 /settembre /2013 18:59
Intervista a Natasa Dragnic, autrice di "Ancora una volta il mare"

Benvenuta Natasa e grazie per questa intervista. Per prima cosa vorrei chiederti come approcci un nuovo romanzo. Hai trovato delle differenze tra la scrittura del primo romanzo e questo? E dopo tutto il tuo successo, sentivi della pressione su di te?

Scrivo quello che devo scrivere nel modo migliore per la storia che voglio raccontare. Non sento la pressione, non l’ho mai sentita. Ho scritto per più di 40 anni, questo non mi spaventa. E non ho mai pensato ai miei lettori. Ho la mia storia e ho me stessa. E mentre scrivo è solo una cosa tra noi due. Inizio a pensare agli altri quando il mio lavoro è finito e il mio libro esce nel mondo… poi spero che piacerà a tutti quanto è piaciuto a me.

Parte di questa storia ha luogo in Italia. Perché questa scelta?

La parte riguardante la morte dei genitori, le 13 storie sono più o meno autobiografiche e volevo mettere una distanza tra di noi, quindi stavo cercando un posto che corrispondesse alla mia isola croata, e ho trovato l’Elba. Tutto il resto ci ha aderito. Questa è una ragione. L’altra è che volevo ringraziare i miei lettori italiani per la grande accoglienza di ogni giorno, ogni ora.

Possiamo dire che ti piace parlare di amori difficili? C’è una ragione particolare?

Non so se sono difficili, ma di sicuro sono grandi. E speciali. E unici in un certo senso. Mi piacciono. Offrono sempre una buona storia e io adoro le buone storie.

Hai uno stile di scrittura particolare, che potrei definire poetico. E’ perché hai avuto un’educazione alla poesia? Volevi scrivere in questo modo o si tratta di uno stile che ti esce naturalmente?

Non sono una grande amica della poesia, di solito non la capisco. E non sono sicura che tu possa decidere come vuoi scrivere. Penso che tu semplicemente scriva e quello è il tuo stile e può cambiare… oppure no. Penso anche che ogni storia abbia la sua propria voce, il suo modo naturale di presentarsi al mondo e io, in quanto scrittore, devo trovarlo. Questo è quello che rende la scrittura così eccitante.

Cosa pensi che Alessandro abbia di tanto speciale da riuscire a sedurre tutte e tre le sorelle? Perché diciamocelo, non è esattamente un santo, dal mio punto di vista.

Non è un santo, e non è un diavolo, lui non è né buono né cattivo. Lui è una proiezione! Ecco perché queste tre sorelle se ne innamorano (lui non ha mai sedotto nessuna, sono sempre state loro a fare il primo passo, e il secondo e il terzo…), lui era esattamente quello che volevano. Lui in quanto persona non era importante, lui, potresti dire, non esiste nemmeno. Lui è quello che loro hanno creato. Questo è ciò che molte donne fanno: hanno le loro idee e i loro desideri e cercano di imporli a un uomo… non funziona mai, lo sappiamo bene. Una lettrice italiana mi ha scritto che Alessandro rappresentava l’Amore, quell’amore che tutti noi bramiamo. Ho trovato quest’interpretazione buona, appropriata.

Nessuno dovrebbe esaurirsi per lui. Lui è un ideale. E d’altra parte, questa non è una storia che riguarda lui, questa è la storia di una famiglia.

La famiglia nel tuo romanzo è, apparentemente, una famiglia perfetta. Ma Alessandro è l’elemento che va a mostrarci quanto questo non sia vero. Lui fa uscire qualcosa che noi non conoscevamo. Per esempio l’insicurezza di Roberta. Mi è venuto da pensare, durante la lettura, che questi lati nascosti siano stati causati dal ‘troppo amore’ dei genitori. E’ così?

Non penso ci possa essere troppo amore, ma capisco cosa vuoi dire. I genitori sono solo degli umani e per quanto facciano del loro meglio, è sempre una questione molto difficile. A volte “troppo” è semplicemente non abbastanza, perché troppo per una persona è forse troppo poco per un’altra. Noi tutti amiamo in maniera diversa e lo mostriamo in un modo diverso e qui sorgono i nostri problemi. Come sappiamo l’amore dovrebbe essere sentito, non capito.

Siamo alla fine , ma prima di concludere: hai già iniziato un nuovo libro?

Non ancora, ma presto. E questa volta userò la mia isola perché la nuova storia non ha niente a che fare con me. A parte che è interamente me, come tutto quello che scrivo.

Grazie mille per il vostro interesse.

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19 luglio 2013 5 19 /07 /luglio /2013 21:47
Intervista a Sara Rattaro, autrice di "Non volare via"

Due lauree, una in ambito scientifico e un’altra in quello della comunicazione e poi la scrittura. Una vita ricca di esperienze e di scelte. Ce ne vuoi parlare?

Più che altro è la vita di una che non ha capito in fretta cosa voleva fare da grande così ne ho provate diverse con più o meno successo. La scrittura ha finalmente placato la mia ansia e ora so cosa voglio fare: scrivere.

Possiamo dire che la scrittura, per te, non è più solo un hobby, ma un mestiere vero e proprio?

Certo! Lo è eccome. Scrivere e promuovere un romanzo è un vero e proprio lavoro con scadenze, appuntamenti e tanto impegno.

Dopo “Un uso qualunque di te” hai scritto un altro romanzo (Non volare via – Garzanti) in cui l’essere umano, sia uomo o donna, deve confrontarsi con le proprie debolezze, con le scelte del passato e con quelle presenti e, soprattutto con le persone che con lui condividono la quotidianità. Leggendo i tuoi romanzi si direbbe appunto che ciò che vuoi raccontare è l’animo umano, è così? E qual è il lavoro che fai per rendere veri i tuoi personaggi?

Si, l’animo umano è il mio vero protagonista con i suoi limiti e la sue forze. Il lavoro migliore che faccio per rendere i miei personaggi credibili sulla carta è quello di osservare e ascoltare le persone vere. Lo faccio da moltissimo tempo e soprattutto cerco di capire cosa farei io se mi trovassi in certe situazioni. È un ottimo esercizio di comprensione.

La voce narrante di “Non volare via” è Alberto, il papà di Matteo e Alice e il marito di Sandra. Perché hai fatto questa scelta ed è stato difficile entrare nel mondo maschile?

Ho accettato la sfida, con me stessa, di dimostrarmi che sapevo fare la narratrice e che potevo spaziare anche in campi meno immediati di quelli che ho a disposizione. Quando ho iniziato a scrivere Alberto sono stata assalita dalla paura di non farcela e che lui parlasse al femminile in un modo poco credibile. Poi ho capito che se avessi messo d’accordo la paura che provavo di non farcela alla voglia di superarmi, avrei raccontato un uomo autentico.

E Matteo? Chi è? Vuoi spiegarlo ai nostri lettori?

Un ragazzino che ci dimostra che per essere straordinari non è necessario essere perfetti ma avere vicino qualcuno di cui fidarsi.

Da libraia le chiedo quali sono le storie che la attraggono quando deve scegliere cosa leggere?

Amo leggere le storie che avrei voluto scrivere, i grandi romanzi con trame che affrontano il quotidiano e le sue asperità, che parlano di vita. Mi rammarico di arrivare seconda ma questo lo trovo stimolante.

Puoi consigliare ai nostri lettori, giovani e meno giovani, qualche lettura per l’estate?

Vi consiglio “Borgo Proprizio” di Loredana Limone

“Buona Fortuna” di Barbara Fiorio

“La bambina con i capelli di luce e di vento” di Laura Bonalumi.

Tre storie bellissime, tutte da leggere!!

grazie

Intervista a Sara Rattaro, autrice di "Non volare via"
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24 marzo 2013 7 24 /03 /marzo /2013 11:48

Fabrizio Silei è tante cose, per noi è difficilissimo dare una definizione univoca per il suo lavoro. E' un cantastorie, uno scrittore fantastico per ragazzi, un creativo, come lui stesso si definisce. Ma da questa intervista potrete capire tante cose. Buona lettura.

 

Caro Fabrizio

Da qualche settimana è uscito per Salani il tuo nuovo romanzo per ragazzi, “Se il diavolo porta il cappello”. Come tua consuetudine affronti temi importanti e universali e attraverso la storia di Ciro, ragazzino del dopoguerra, parli anche della grande storia. Ci vuoi raccontare come è nato questo tuo romanzo?

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Sì, hai perfettamente ragione, in questo romanzo, Se il diavolo porta il cappello, si intrecciano molte storie e vi si affronto diversi argomenti.  E’ un romanzo d’avventura e di formazione, un romanzo che parla di dopoguerra e di attesa,  di gemelli e di fratellanza, di lutto, di memoria, ma anche di zingari e di pregiudizio. L’elenco potrebbe allungarsi di molto, ma sono tutte considerazioni che in me nascono a posteriori, quando analizzo la storia come lettore. Come scrittore, invece, sono sempre molto in difficoltà quando mi si chiede come nascono le mie storie. Semplicemente arrivano, si formano man mano che scrivo e vi confluiscono dentro i miei interessi di un certo periodo, le mi ansie e le mie paure, ma anche le mie speranze. Ciò che vorrei dire e non so dire in nessun altro modo se non in questo: raccontando una storia.

 

Una parte importante in questa storia ce l’ha un popolo, che tutti conosciamo poco, gli zingari. Perché hai scelto di renderli protagonisti di un romanzo e che ruolo ha questa gente nella tua vita oggi? Ti ho sentito parlare di loro recentemente e, devo dire, che le tue parole mi hanno colpita e coinvolta.

 

Per tanti anni mi sono occupato di Shoah, e di ex internati militari, ma gli zingari anche per me erano sempre una voce fra le “altre ed eventuali”, come i testimoni di Geova o gli omosessuali. A un certo punto incontrandoli ho capito che oggi come ieri gli zingari rappresentano l’Altro per antonomasia, che mettono alla prova la nostra capacità di vivere con l’Altro e di comprenderlo più di ogni altro gruppo etnico. Approfondendo la questione ho scoperto la loro storia, il prezzo altissimo che queste popolazioni hanno pagato sempre e specialmente durante il nazismo: si calcolano di più di mezzo milione di zingari trucidati dai nazisti. Ho approfondito e scoperto anche che cosa era accaduto ai gemelli zingari finiti nelle grinfie del maledetto dottor Mengele. Era una storia terribile, che in qualche modo dovevo raccontare, che i nostri ragazzi devono conoscere e non solo loro.

E poi è una storia che non è finita, ancora oggi gli zingari che vivono nei campi per la nostra società sono fuori dalla comunità umana, a loro si negano diritti fondamentali come l’elettricità e l’acqua, l’istruzione. Insomma sono discriminati, sono incomprensibili, su di loro albergano pregiudizi terribili. Nessuno di noi ha un amico zingaro, in pochi difenderebbero uno zingaro maltrattato dalla polizia. Recentemente a Sassari ho lavorato in classi con dei bambini rom con i miei laboratori creativi. Le insegnanti si sono meravigliate della loro partecipazione al gioco e della loro bravura. La mia strategia? Semplicemente li ho trattati come gli altri bambini, non una carezza o un sorriso in più, non uno in meno. Nessuna etichetta preventiva, sono stati bravissimi come molti altri bambini “con problemi” dei quali non mi sono accorto. A volte, solo a  volte, dipende da come si impostano le relazioni e il problema sta negli occhi e nel cuore di chi guarda.

 

Ora voglio parlare un po’ di te e del tuo lavoro, anzi desidero che tu, che sei un cantastorie meraviglioso, racconti ai nostri lettori chi sei e cosa fai e soprattutto quali sono i messaggi che vuoi far passare attraverso i tuoi libri, i tuoi racconti e la tua arte.

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E’ una domanda enorme, forse anche scorretta, nel senso che non sono io a dover spiegare o trovare messaggi all’interno di ciò che faccio e racconto. Io racconto e basta, le storie che secondo me vale la pena raccontare, che riguardano ciò che mi tocca e mi coinvolge sin da quando ero molto piccolo o che mi diverte.

Come autore mi dicono che parlo spesso di storia, di razzismo, di pregiudizio. Bisogna esser stati molte volte ultimi per raccontare dal punto di vista degli ultimi e io lo sono stato spesso. Qualcuno mi ha fatto notare che in molti dei miei libri c’è una domanda che interroga il lettore: “Cosa faresti tu al posto del protagonista che sei diventato leggendo?” E’ vero, mi chiedo continuamente cosa avrei fatto io se la Storia mi avesse portato a dover spingere donne e bambini nelle camere a gas, è una domanda insopportabile, alla quale non si può rispondere, si può solo sperare di avere abbastanza coraggio per fare la cosa giusta quando dovessimo trovarcisi. Di riconoscere l’autobus della Storia che passa e non perderlo, come succede al nonno di Ben nel mio libro “L’autobus di Rosa”. Un nonno che non è Rosa Parks, ma ha il coraggio della memoria e di chiedere scusa, uno di noi, un eroe non eroe.

I miei libri creativi invece, quelli per i più piccoli, ragionano assolutamente sulle stesse questioni, ma dal punto di vista dei fondamentali. Mi piacciono i libri che iniziano quando finiscono. Che trasformano il bambino in un creatore felice e in un narratore a sua volta e non in un consumatore di storie o di giochi rigidi con le istruzioni per l’uso. “C’era una volta…”, “L’inventastorie,”  “L’invenzione dell’ornitorinco” e tanti altri nascono con questa filosofia di fondo.

 

Sentirti raccontare è un’esperienza bellissima, sei un vero cantastorie, e insisto su questo concetto. Se ho capito bene, anche tu ami particolarmente questa parte della tua vita. Allora voglio sapere come è nato quello splendido libro/oggetto che è“L’inventastorie”. Vuoi spiegare ai nostri lettori di che cosa si tratta?

 

Io vengo dalle storie che mi raccontava mia madre, una contadina con la terza elementare, ma formidabile. Storie di guerra, fiabe terribili, apprese nei focolari, dai vecchi analfabeti che, tuttavia, recitavano Dante e l’Ariosto a memoria, La Pia dei Tolomei, le storie di fantasmi, i contrasti in ottava rima. Quel mondo dell’oralità precipita spesso nei miei libri, mi affascina, ci sento le mie radici. Con il teatro d’animazione e di narrazione, dei burattini e delle marionette che ho praticato per anni con mia moglie ho imparato il racconto in presenza, teatrale, sciamanico, i tempi della narrazione. Ancora oggi ci sono storie che racconto soltanto e altre che scrivo. Sono due cose diverse con magie differenti.

L’inventastorie è un tentativo di costruire una macchina della fantasia con la quale, attraverso un oggetto artistico, di design e di grafica, si potesse istigare gli insegnati e i genitori a recuperare la funzione educativa per eccellenza, quella del raccontare e insegnare a raccontare e quella del giocare imparando. Io bambino raccontando sperimento altri mondi, mi metto nei panni degli altri, gestisco emozioni, prendo decisioni, imparo. E’ un omaggio a “La grammatica della fantasia” di Gianni Rodari, e a una stagione virtuosa della scuola italiana che sembra essersi un po’ dimenticata fra prove di comprensione e routine non sempre virtuose. Si tratta di sei personaggi in cerca di autore con scenari e oggetti che si ibridano all’infinito dando il La a centinaia di possibili storie. C’è anche un albo con alcune storie scritte da me utilizzando questo congegno 3D, interamente touch e multilingue. Ci sono puoi anche le D-ISTRUZIONI PER IL LAB-USO.

 

Hai avuto difficoltà a trovare un editore sensibile verso questo tuo progetto?

 

Molte difficoltà. Ma sono stato fortunato. Devo ringraziare l’editore di FATATRAC Stefano Cassanelli che ha subito capito il progetto e la splendida Elena Baboni con la quale lavorare è un vero piacere. Si tratta di un cofanetto prezioso e bellissimo con alti costi di progettazione e di produzione, tantissimo lavoro da parte mia e dell’editore che, come me, voleva mantenere un prezzo accessibile e popolare. Insomma, un piccolo miracolo italiano. E sta andando molto bene, tutti lo vogliono ed è in tutte le librerie.

 

“L’autobus di Rosa”, solo due parole da parte tua.

 

Una storia a cui devo molto, anche qui un “piccolo” grande editore, Orecchio Acerbo, e un gruppo di lavoro straordinario: Fausta Orecchio, Simone Tonucci, Paolo Cesari insieme a un grande compagno di viaggio, l’illustratore Maurizio Quarello per le immagini. L’idea del racconto mi è nata pensando che mentre in America si eleggeva Obama in Italia si parlava di proposte del tipo: autobus per soli milanesi e le classi per soli bambini immigrati. Paradossale, proposte che puzzavano di segregazionismo, pensare a Rosa è stato naturale. Ma questa storia che non è solo quella di Rosa Parks, dell’eroina, ma anche quella di Ben e suo Nonno, di chi su quell’autobus c’era e si alzò come tutti i giorni precedenti. Di una persona normale come noi, ma infine consapevole e pronta a fare memoria e chiedere scusa al nipote. Questo albo ci ha dato grande soddisfazione, premi, segnalazioni e traduzioni in molti Paesi, uno spettacolo teatrale, un’animazione in Germania. Insomma un libro che amano in molti.

 

Non si dovrebbe mai chiedere ad uno scrittore qual è il suo “figlio” prediletto, tuttavia desidero sapere se tra i protagonisti dei tuoi libri e delle storie che racconti a voce, ce n’è uno che ami in modo speciale?

E’ sempre l’ultimo a cui si sta lavorando il libro che si ama di più, ma un posto speciale nel mio cuore ce l’hanno Bernardo e l’angelo nero, L’autobus di Rosa, Il bambino di vetro… altri in uscita, anche se a ben pensare ognuno dei miei libri è comunque come un figlio, un momento della vita, un passo avanti nella scrittura, che è difficile dimenticare.

 

Caro Fabrizio le domande sarebbero tantissime, ma mi fermo qui e ti lascio con una richiesta: un messaggio per i nostri piccoli e giovani lettori.

Se capitate a Pescia vicino Collodi provincia di PT, in via San Romualdo, numero 1, venite a trovarmi nel mio Atelier: ATELIER L’ORNITORINCO. Fra libri, colori, sculture, burattini, marionette e giochi ci divertiremo. Consigli? Da vecchio bacucco profetico? Che dire: cercate di capire qual è la vostra grande passione nella vita e cavalcatela. Cavalcare il proprio demone è l’unico modo che ho scoperto per non essere cavalcato dai demoni che ci circondano e vorrebbero distruggerci o fare di noi molto meno di quanto, invece, possiamo essere.

 

Grazie Anna

Grazie a te. A presto. Fabrizio

 

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27 febbraio 2013 3 27 /02 /febbraio /2013 22:52

images.jpgLa casa editrice Fazi ha dimostrato nel tempo di riuscire a cogliere i gusti dei lettori italiani come è avvenuto con “Cento colpi di spazzola”, con la saga di Twilight, e ora con “Stoner”. Qual'è il segreto? 

 

Per questi casi non ci sono ricette segrete, si tratta soprattutto di intercettare un gusto non ancora dichiarato, vedere in una storia ciò che un lettore potrebbe voler cercare nell'intrattenimento. Proporre, soprattutto, qualcosa di diverso dalla media, di inaspettato. A volte si parte con moltissimi dubbi e insicurezze, soprattutto quando la fortuna di un libro non è costruita con pesanti azioni di marketing, ma si innalza con il semplice ed entusiastico passaparola.

 

Ci parla della collana Le strade e di come si inserisce nel progetto Fazi; qual è il tratto caratteristico della collana?

 

La collana Le Strade è uno dei primissimi progetti della Fazi, si è partiti con un interesse spiccato

per la letteratura anglo americana e con la voglia di proporre sul mercato anche titoli dimenticati,

ottimi romanzi con una storia editoriale sfortunata. Con gli anni è diventata una collana di prestigio, includendo al suo interno grandi autori quali Gore Vidal, Paula Fox, Colm Toibin,

Tim Winton e poi Elizabeth Strout, Jacques Chessex, JohnBurnside e da ultimi Kevin Wilson e John Williams.

 

Stoner a noi è piaciuto molto per la pulizia della scrittura, per la vicenda che ruota tutta attorno al protagonista e per come egli affronta le situazioni che si trova a vivere. Un romanzo che sembra molto lontano da quanto mediamente viene proposto dall'editoria oggi, eppure è stato accolto molto bene dal nostro pubblico. Come è nata l'idea di riproporlo ( 1° edizione 1965)?

 

La Fazi ha sempre avuto un'anima volta a riproporre titoli non attuali e dunque l'attenzione verso le riproposte è parte integrante della nostra attività di ricerca. Stoner è arrivato in sordina, inviatoci da un'ottima casa editrice americana (New York Review Books) che ripropone sistematicamente vecchi classici. La lettura del romanzo è apparsa subito come qualcosa di molto potente perché nonostante i decenni trascorsi si tratta di una storia ancora viva, che il passare del tempo non ha intaccato: l'esistenza di Stoner è raccontata nella maniera più vera perché più impietosa, portando alla luce tutte le debolezze, le incertezze, le ingenuità che sono gli elementi che costituiscono una personalità, ovvero la gran parte dei caratteri esistenti dell'uomo occidentale.

Ritengo che oltre alla qualità della scrittura, la forza di questo romanzo stia anche nel tributo che Williams fa all' uomo medio: spogliati degli ottimismi di qualche decennio fa oggi riusciamo ad apprezzare di più storie che parlano delle vite comuni, ovvero storie che parlano proprio a noi.

 

Quanto è importante la traduzione?

 

Fondamentale per i romanzi letterari. Quando le traduzioni sono mediocri non possiamo innamorarci delle storie.

 

Quali altri libri le hanno dato soddisfazione negli ultimi anni? A noi ad esempio è piaciuto molto "Sotto questo cielo intatto".

Sicuramente il romanzo di Shandi Mitchell è stato molto apprezzato, sia dal pubblico che dalla critica; oltre a questo ricordiamo senz'altro Olive Kitteridge di Elizabeth Strout e Wolf Hall di Hilary Mantel, altri casi interessanti sono stati i romanzi di Jacques Chessex, autore svizzero francese morto un paio di anni fa di cui abbiamo pubblicato buona parte dell’opera, uno scrittore di altissima qualità; Un viaggio di H.G. Adler, riscoperta di un romanzo sull'esperienza della Shoah di un autore purtroppo misconosciuto ma amatissimo da grandi intellettuali, Elias Canetti ne fu grande  ammiratore. Da ultimo “La Famiglia Fang”, primo romanzo di un brillante scrittore americano che fa pensare ai fratelli Glass di Salinger.

 

Quali sono le prossime uscite per la collana Le strade?

 

John Williams “ Butcher's Crossing” , Hilary Mantel “Anna Bolena. Una questione di famiglia”, Elizabeth Strout “I fratelli Burgess”.

 

A marzo uscirà il nuovo libro di John Williams, ce ne può parlare?

 

Romanzo altrettanto potente, con un' ambientazione totalmente diversa. Se in Stoner era tutto giocato in interni qui abbiamo una natura soverchiante e meravigliosa.

Una storia avventurosa in cui ci sono diversi personaggi significativi e in cui ritroviamo il pensiero di Williams sulla condizione umana. Ritroverete la stessa attenzione alle descrizioni e una capacità straordinaria di far vivere ogni scena.

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