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13 novembre 2012 2 13 /11 /novembre /2012 09:15

Vi ricordate di Chocolat? Il romanzo ormai cult di Joanne Harris, divenuto poi un film con Juliette Binoche e Johnny Depp? Ebbene, da qualche giorno è in libreria il nuovo volume della saga iniziata appunto con quel romanzo e proseguita, più di recente, con Le scarpe rosse.

 

Nella nuova avventura, intitolata Il giardino delle pesche e delle rose, la sempre affascinante Vianne Rocher ritornerà nel luogo dove tutto è cominciato, Lansquenet, e dovrà confrontarsi con una comunità dove tutto è cambiato a causa dell'arrivo di un gruppo di magrebini.

Lansquenet è sempre stato un villaggio chiuso, poco abituato ai cambiamenti, ma come si comporteranno i suoi abitanti ora che donne col velo e ferventi islamici hanno 'invaso' una zona del paese? E come mai tutto sembra più teso dopo l'apparizione di Inès, la donna in nero?

 

Per tentare di capire qualcosa in più su questo ritorno di Vianne, ho scambiato quattro chiacchiere con Joanne Harris, che ringrazio per la gentile disponibilità. E se dopo questa intervista foste ancora più curiosi... basterà entrare nel giardino delle pesche e delle rose.

 

harris.jpgDomanda: Siamo tornati a Lansquenet, un viaggio a cui Vianne, probabilmente, non aveva mai pensato. Come hai avuto l'idea di questo ritorno?

Risposta: Non mi aspettavo di tornare a Lansquenet, o a Vianne, in questa storia. Ma quando ho capito dove questa mi stava conducendo, ho subito capito che non avrei avuto scelta...
D: Una delle prime cose che colpiscono è lo scoprire che nel libro c'è di nuovo il punto di vista di Reynaud. Il parroco sembra molto diverso, ora, quasi un personaggio positivo. Avresti mai pensato che, un giorno, avresti scritto di nuovo di Reynaud? E com'è stato rimettersi nei suoi panni, ma da un'angolazione differente?
R: Metà di Chocolat era scritto dal punto di vista di Reynaud. Proprio per questo motivo questa storia è, in un certo senso, parallela a Chocolat. Mi sembrava naturale procedere su questa strada. Non ho mai veramente creduto che Reynaud fosse un 'cattivo ragazzo'. Ho sempre pensato che avesse la capacità di cambaire. Sono felice di vedere che ne Il giardino delle pesche e delle rose dsi è addolcito un pochino, sebbene lui non sia cambiato poi molto...

D: In questo terzo libro Vianne e Reynaud si riuniscono quasi come vecchi amici. E' per la passata influenza di Vianne? O si tratta piuttosto di un cambiamento naturale? Inoltre sembrano piuttosto simili, in questa storia.
R: Il tempo cambia chiunque, Vianne e Reynaud inclusi. Non ho mai visto la loro relazione come una relazione tra nemici, e in questo caso la posizione di Reynaud all'interno del villaggio è alterata, il che gli permette di vedere molto più chiaramente da una prospettiva esterna. Non credo che lui concordi pienamente con il modo di fare le cose di Vianne, neanche adesso. Continuano a essere delle persone molto diverse tra loro. Ma ha incominciato ad accettare che potrebbe esserci più di un singolo modo (il suo modo) di affrontare i problemi...
D: Ne Il giardino delle pesche e delle rose tu parli anche di Islam. E' un argomento complesso, oggigiorno. Lo volevi nel tuo libro per una ragione in particolare? Non avevi paura delle reazioni che avresti potuto suscitare?
R: Io scrivo di persone e di luoghi, non di religioni. e non vedo perché qualsiasi tipo di fede o cultura dovrebbe essere lasciata fuori da una storia solo perché viene percepita come controversa.
Scrivo storie. Non dico a nessuno cosa deve pensare, e non cerco nemmeno di fare generalizzazioni. Perché questo dovrebbe creare delle reazioni negative?
Joanne-Harris-Giardino-delle-pesche-e-delle-rose.JPG
D: Possiamo dire che questo libro mostra anche ogni comunità ha le sue intolle ranze? Che non si tratta di una questione di fede, ma semplicemente delle persone?
R: Le fedi sono fate dalle persone. Non commento mai la fede in quanto tale, ma, molto semplicemente, di tutti i modi in cui la gente interpreta queste fedi (a volte per raggiungere i propri scopi).

D: Cosa possiamoa spettarci da Vianne, questa volta? Nell'ultimo episodio l'abbiamo vista avere qualche problema. Ora, fin dalla prima apgina, sembra più forte e più determinata, ma anche più serena e tranquilla.
R: In un certo senso, sì. Ma non penso che il suo viaggio sia ancora finito. Ogni storia la lascia con un po' più di conoscenza di sé, e un passo più vicina allo stabilizzarsi, ma non sono sicura che lei sarà mai completamente ferma...
D: Parli di nuovo di cibo e digiuno, per via del Ramadam. Era programmato o è semplicemente successo? Perché questo fa molto 'ritorno a Chocolat' e, ovviamente, noi fan lo adoriamo!
R: E' una delle tematiche che collegano questi due libri. Volevo usarlo per illustrare l'idea che culture differenti hanno molte più cose in comune di quante ne avremmo mai pensate...
D: Dobbiamo aspettarci altre avventure di Vianne, in futuro?

R: Forse. Non lo so ancora.

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13 luglio 2012 5 13 /07 /luglio /2012 12:32

Luca Azzolini, classe 1983, una laurea in Storia dell'Arte, ormai si occupa di libri a tutto tondo.

Collabora con la rivista on-line Fantasy Magazine, dirige la collana dedicata alla narrativa fantasy di Reverdito Editore, ha scritto un romanzo, “Il fuoco della fenice”, uscito nel 2009 per La Corte Editore. Ha curato, nello stesso anno, l'antologia Sanctuary, per Asengard Edizioni, raggruppando i nomi più significativi del genere fantastico italiano.

 

Ora, insieme a Francesco Falconi, è in libreria con i primi due episodi di Evelyn Starr (“Il diario delle due lune” e “La regina dei Senzastelle”), editi da Piemme nella collana del Battello a Vapore. Due libri che sapranno appassionare tutti i ragazzi dai dieci anni in su, grazie a un misto di contemporaneità, magia e leggende.

 

 

LucaAzzolini.jpgCiao Luca, ti andrebbe di raccontarci da dove nasce la tua passione per la scrittura e come mai hai scelto di dedicarti proprio al fantasy?

 

Ho iniziato a scrivere racconti fin da piccolo, quando invece di giocare a pallone preferivo prendere una vecchia agenda e inventarmi storie. Passavo anche delle ore intere a scribacchiare divertendomi con racconti che non desideravano altro che essere scritti. Poi, più o meno verso i diciassette anni, ho deciso di provarci seriamente. Amavo molto le storie fantastiche e i libri di Marion Zimmer Bradley: erano le mie letture preferite, comprese le antologie in cui invitava gli autori a mettersi in gioco. Combinazione volle che, proprio in quel periodo, in provincia di Mantova, dove abito, fosse attiva una associazione culturale che curava antologie contenenti racconti e poesie di giovani talenti che desideravano mettersi alla prova. Decisi di scrivere una storia per quel concorso, e fu così che pubblicai il mio primo racconto a diciotto anni. Da allora non mi sono più fermato.

 

Con Evelyn Starr, approdi al romanzo, sempre fantasy, per ragazzi. Come mai hai deciso di dedicarti a questo tipo di narrativa? E quali differenze hai riscontrato con la letteratura per "grandi"?

 

Amo i romanzi per ragazzi. Li ho sempre amati e volevo scriverne. Con Evelyn Starr, che ho scritto assieme a Francesco Falconi, sentivo di poter spaziare e di intraprendere un nuovo percorso con un romanzo fresco, divertente e spigliato, diverso da tutto quello che avevo scritto in precedenza. E' stata un'occasione d'oro, perché questa serie di romanzi mi ha dato la possibilità di affrontare una trama ricca, dei personaggi credibili, un mondo intero da esplorare, dosando avventura, mistero e ironia… è davvero una serie che amo molto!

 

Evelyn Starr è anche un libro scritto a quattro mani. Com'è stato affrontare questo viaggio a due?

 

Divertentissimo! Certo, come ogni viaggio che si rispetti questa esperienza ha avuto le sue strade in salita e in discesa, ma posso dire che lo ripeterei ancora e ancora. Scrivere a quattro mani rende ancora più avvincente lo scoprire il carattere dei personaggi come Evelyn e Zak, e permette anche di confortarsi con un'altra idea del libro, magari differente dalla tua. Si scopre che la stessa situazione, momento, pensiero, possono assumere migliaia di sfumature. Con la serie Evelyn Starr ho imparato a calarmi completamente nella storia e a cogliere il meglio dai simpatici battibecchi con Francesco e questo credo si noti dal romanzo, perché abbiamo sempre cercato di dare il massimo (e anche qualcosa di più, se ci riusciva).

 

Nel libro troviamo dei personaggi davvero affascinanti ed evocativi, come i guardiani delle nebbie, i senzastelle... com'è nata l'idea di queste creature e del romanzo in generale?

 

Abbiamo cercato di dar vita a un mondo complesso e credibile, ma che fosse anche pieno di elementi inediti e speciali. I Senzastelle sono creature che nascono dal buio, dell'ombra e dal gelo. Sono i malvagi per eccellenza, ma non sono i classici "cattivi" senza spessore, o i "cattivi e basta". La Regina dei Senzastelle, per esempio, colei che muove le vicende che porteranno la dolce Evelyn Starr nel Regno Grigio, è un personaggio complesso e ricco di segreti e misteri. Volevamo con questi romanzi divertire e sorprendere, ma anche stupire e lasciare un bel ricordo in tutti i lettori!

 

Stillygan, la spalla della protagonista, e Evelyn ci intrattengono con punzecchiature e siparietti comici durante entrambe le avventure. Essendo che loro sono due, e gli autori anche, una domanda mi sorge spontanea: avete preso spunto da voi stessi, per crearli?

 

Stillygan è il furetto irriverente e sarcastico di Evelyn, che una volta attraversato il Varco sull'Arco d'Avorio si scopre essere in grado di parlare. E quando parla, non sta più zitto! C'è molto di me in Evelyn, è vero, e molto di Francesco in Stillygan, ma è anche vero che a volte certe sfumature e certi dialoghi si sono amalgamati così tanto da ribaltare le parti. Anch'io so essere ridicolo e irriverente se mi ci metto e il lato simpatico e divertito è anche in Francesco. Abbiamo fuso le nostre personalità  regalandole ai lettori.

 

evelyn-2Evelyn è una ragazzina estremamente attuale, che ascolta Lady Gaga, che va a danza, che manda sms col cellulare. Hai avuto modo di tastare il parere del giovane pubblico per capire quanto si siao immedesimato in lei e negli altri personaggi del libro?

 

Assieme a Francesco abbiamo fatto numerose presentazioni in libreria, presso biblioteche, scuole ed eventi dedicati al fantastico. Abbiamo avuto anche platee di 150 bambini che si sono letteralmente appassionati a Evelyn Starr, tanto da volerne sapere ancora, facendoci un sacco di domande su di lei e la sua vita anche oltre la storia. Credo che questa, per chi ama scrivere, sia la risposta più bella da parte dei giovanissimi lettori. Far appassionare chi legge è il premio più grande e se Evelyn Starr è arrivata al cuore di chi legge con questa forza ci rende davvero felici e orgogliosi. Evelyn Starr è amata dai ragazzini e tutto questo ha qualcosa di magico!

 

Per concludere, ti chiedo una cosa che sta a cuore a tutti i fan della serie: ci sarà mai un'Evelyn Starr 3?

 

“Evelyn Starr. La Regina dei Senzastelle” è uscito a maggio in tutte le librerie ed è il secondo volume della serie. La risposta dei lettori è stata davvero inaspettata tanto che il primo volume, “Il Diario delle Due Lune”, ha riscosso un notevole successo anche a livello di vendite. E' presto, però, per dire se ci sarà un Evelyn Starr 3. Se ne parlerà dopo l'estate con la casa editrice, e se io e Francesco avremo modo di raccontare un'altra avventura della Guardiana delle Nebbie ne saremo più che felici!

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11 luglio 2012 3 11 /07 /luglio /2012 00:26

 

Racconta ai nostri lettori qualcosa di sé e del suo percorso di scrittrice? “Il mio inverno a Zerolandia” è il primo romanzo che pubblica? E’ anche l’unico che ha scritto?

Ho iniziato a scrivere alle medie, componendo brevi poesie, e da lì ho continuato a scriverne diverse. Della poesia mi ha sempre colpito la forma e le possibilità che all’interno di questa mostrava la lingua. Quello è stato per me una specie di cantiere. La prosa è venuta molto tempo dopo, con Zerolandia appunto che è il primo e unico romanzo che ho scritto.


Ne “Il mio inverno a Zerolandia”, lei racconta di una giovane donna (la diciassettenne Alessandra) alle prese con uno dei dolori più grandi della vita, la morte della madre, e del modo che trova per riuscire ad andare avanti. Zerolandia è il modo-luogo della sua rinascita e della speranza. Mi sembra di vedere un incitamento alla vita rivolto ai nostri ragazzi. Tutto ciò era voluto?

Sì, è proprio questo. Zerolandia è il modo-luogo della rinascita. Il modo, perché è necessario il ripiegamento su se stessi e il luogo, perché per farlo dobbiamo trovare uno spazio che ce lo permetta. Zerolandia è  azzeramento che è anche spaesamento e silenzio, necessari affinché affiori il ricordo, il dolore e infine la speranza. Ho voluto che fosse così fin dall’inizio. Molte cose  cambiano mentre si scrive un libro: il carattere di un personaggio ad esempio è facile che cambi mentre si scrive, Zerolandia è stato un punto fermo da subito, voluto perché mi affascinava quella specie di spazio bianco dove far accadere le cose che non si vedono. Quando ho impostato il romanzo era addirittura un luogo fisico, ma poi ho pensato che si poteva fare di meglio e lasciare che fosse il luogo invisibile e silenzioso che ci accoglie ogni volta che per ritrovarci dobbiamo necessariamente azzerare e far tacere il mondo intorno. E’ di sicuro un incitamento alla vita rivolto ai ragazzi, perché trovino quegli spazi necessari a riflettere, gli azzeramenti dove tutto ricomincia.


E la speranza? Che ruolo le dà nell’economia del racconto? Nonostante nel titolo ci siano le parole Inverno e Zerolandia, io vedo molta luce in questa storia.

Ce n’è tanta, anche nei momenti più cupi. La stessa Zerolandia è luminosa, non l’ho mai pensata come lo spazio grigio dell’esistenza. Per me la solitudine, il silenzio, sono di segno positivo, è questo che ho voluto dire, soprattutto ai ragazzi. Se vuoi ascoltare qualcuno, lo devi portare fuori dalla confusione, dal rumore e trovare quello spazio dove l’incontro diventa possibile.


Quando e come ha preso forma, dentro di lei, questa storia, dove ha trovato ispirazione? Esistono o sono esistiti nella sua vita una Zeta e uno Zero?

Ha preso forma anni fa, dopo la malattia e la morte di mia madre. Zero e Zeta sono esistiti nella misura in cui hanno entrambi qualcosa di me e qualcosa che avrei voluto essere e comunque sono giovani come tanti, con le loro difficoltà, i passi falsi, la loro ricerca della felicità e di una propria definizione.


Può dare ai nostri giovani e meno giovani lettori almeno tre motivi per leggere “Il mio inverno a Zerolandia”?

1 – per riflettere su ciò che ci spaventa, per non allontanare come cose fuori moda la solitudine e il silenzio

2 – perché la libertà non può essere omologazione, le vere sorprese arrivano quando concediamo uno spazio a ciò o chi consideriamo diverso

3 – perché una storia d’amore è sì un evento, ma soprattutto rispetto, conoscenza vera dell’altro e impegno


Alla base di un libro, di un film o di un’opera d’arte c’è un’idea, qualcosa che abbiamo la necessità di condividere. Ci può rivelare qual è stata la sua urgenza, ciò che l’ha spinta a scrivere e a  pubblicare?

La mia urgenza è stata quella di raccontare una perdita, poi subito dopo è arrivata Zerolandia, lo spazio dove fuggire, e infine mi sono chiesta: e adesso, a chi la faccio raccontare?


Il suo stile è piano, lineare, a volte un po’ ruvido, certamente di grande appeal. Quanto ha lavorato e rivisto il testo? Le chiedo questo perché la mia sensazione è stata che dietro all’apparente semplicità della narrazione ci sia stato un lungo e faticoso cammino.

Ho lavorato molto al testo, per me è stata una cosa non facile. Anche solo mantenere i due registri,  la scelta di alternare e creare un dialogo tra presente e passato. Zerolandia è stato il mio laboratorio. Più volte mi sono fermata, sono tornata indietro, l’ho riscritto, ho scelto con cura in alcuni passaggi la singola parola. Anche accorgersi che una cosa che ti piace molto però non funziona e ci devi rinunciare. Scrivere per me è stato anche non cedere alla lusinga, all’autocompiacimento.


E’ giusto definire “Il mio inverno a Zerolandia” un romanzo di formazione?

E’ anche un romanzo di formazione, sicuramente.


Infine può consigliare ai suoi e nostri lettori alcuni libri che per lei sono stati importanti? E per il pubblico più giovane cosa suggerisce?

Ai lettori in generale consiglio:

Cheever, I racconti, perché è lo scrittore delle cose indefinibili, di certi stati d’animo dolenti eppure impalpabili, quasi inconoscibili e poi perché il racconto è un genere che amo molto.

Vassilij Grossman, Tutto scorre, perché mi ha fatto riflettere su ciò che vuol dire la parola progresso, civiltà. Perché è un libro che parla di libertà, degli orrori che noi abbiamo scampato senza apprenderne la lezione.

Yann Martel, Vita di Pi, l’avventura, l’oceano, il profumo dello iodio ad ogni pagina, il rapporto assoluto, meraviglioso e feroce, con la natura e un animale.

Elisabetta Severina, Quarantatrè, un’eredità particolare per una storia di famiglia e un rapporto d’amore, scritto in una prosa bellissima.

Per i giovani lettori:

Mi chiedo quando ti mancherò, Amanda Davies, la storia di una violenza, di un alter ego ingombrante e dispotico. Una storia per capire che il peso del corpo è nei pensieri.

Marcello Argilli, Ciao, Andrea, il dialogo tra un ragazzo e un uomo, tra un padre e un figlio, tra la società con le sue regole e le sue sicurezze e la libertà, con i suoi rischi, con il suo respiro.

Jay Asher, 13, il contrasto tra apparenza e realtà, bugie, piccole cattiverie, l’ipocrisia come esercizio quotidiano. La storia di Hannah Baker, tra menzogna e innocenza, una ballata per riflettere sulle nostre ombre e la nostra indifferenza.

J.C. Oates, Bruttona & Lingualunga, un ragazzo tranquillo e normale, una ragazza tosta, lui bello e lei brutta, e un caso di isteria collettiva. L’intelligenza contro la stupidità, la solidarietà contro la violenza. E l’amore.

 

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7 maggio 2012 1 07 /05 /maggio /2012 16:13

“Indagine 40814” è un tuo primo romanzo, dopo tanti saggi storici. Quando hai iniziato a scriverlo e perché hai sentito l’esigenza di misurarti con la narrativa?

L’ho scritto tra il 2008 e il 2009, in un periodo in cui ho avvertito la necessità di sperimentare qualcosa di diverso, di trovare nuovi stimoli nella scrittura, dopo tanti anni spesi nell’attività giornalistica e nella ricerca storica e una quindicina di opere pubblicate. Oltretutto scrivere romanzi era un’aspirazione che coltivavo fin dall’adolescenza… ci sono voluti solo un paio di decenni perché mi risolvessi a farlo!

In questo romanzo comunque non manca la storia, infatti la vicenda si sviluppa su tre piani storici. Senza svelare nulla della trama ci puoi raccontare quali sono e inoltre puoi svelare a chi ancora non ha letto il romanzo dove avvengono i fatti delittuosi e chi si ritrova ad indagare?

I piani temporali sono in totale quattro, due dei quali prettamente storici: l’anno 955, in pieno Medioevo, caratterizzato dalle invasioni degli Ungari, e il 1944-45, sul finire della 2ª Guerra mondiale, durante l’occupazione tedesca. La vicenda principale, quella del thriller, si svolge invece in epoca contemporanea, nell’estate del 2006, ma racchiude un’importante digressione al 1988, che mi è servita per raccontare un episodio chiave della giovinezza dei due protagonisti, la giornalista Elena Zanasso e lo storico Enea Guglielmini. È questa l’inusuale coppia di investigatori impegnata a indagare sui misteriosi omicidi dell’assassino che si firma col numero 40814. Delitti che sembrano scaturire da un oscuro passato e che hanno come scenario l’Alto Vicentino e le vallate del Leogra e dell’Agno in particolare.

 

I protagonisti del romanzo risultano ben definiti, concreti: forse sei stato ispirato da persone che hai incontrato e che frequenti nella vita reale?

Se guardiamo ai due protagonisti, si capisce facilmente che ho attinto dalla mia personale esperienza di storico e giornalista per costruirli, anche se questo non significa che rispecchino esattamente me stesso e la mia personalità. Per gli altri personaggi - dai carabinieri Tacchin e Marconi alla seducente ricercatrice Veronika Hassel, dallo studioso Samuele Peretti al libraio Cesare Loredan - ho mescolato invenzione ed elementi reali. Ogni scrittore, penso, si ispira alla realtà che lo circonda, fatta di ambienti, persone e situazioni, per dare vita alle sue storie, ma poi rielabora il tutto con l’imprescindibile ingrediente della fantasia.

 

Quest’anno è stato, per te, ricco di belle cose e di successi editoriali, almeno, qui nella zona in cui viviamo. Infatti oltre ad “Indagine 40814” hai pubblicato assieme a Sabrina Dal Molin “Vite terrene vita nell’aldilà”. Che cos’è questo libro e che rapporto hai con il trascendente?

Anche se sembrano avere poco in comune, il sovrannaturale è l’altro mio grande interesse assieme alla storia e lo si trova pure, sottotraccia, in “Indagine 40814”, come elemento funzionale alla trama; in “Vite terrene vita nell’aldilà”, invece, è trattato in modo esplicito. È infatti un saggio spirituale che pone delle riflessioni sul perché siamo qui, sul senso della nostra vita, su cosa succederà dopo la morte, scritto assieme alla sensitiva Sabrina Dal Molin, una persona che ha dei doni autentici tra tanti, invece, che li millantano soltanto. Per ciò che è scaturito dal mio incontro con lei, e per tutta una serie di fatti particolari che mi sono personalmente accaduti nel corso della vita, non ho il minimo dubbio che esista ben di più della realtà che possiamo vedere e toccare con mano. Poi, ovviamente, ognuno ha le proprie idee ed esperienze a riguardo.

 

Progetti per il futuro? Noi tutti speriamo in un nuovo romanzo, c’è nei tuoi programmi?

Ce ne sono due di nuovi, già pronti ma ancora inediti. Uno è un romanzo storico che s’intitola “Un posto migliore”, scritto prima di “Indagine 40814” ispirandomi all’avvincente spy-story e alla tragica vicenda umana che avevo descritto nel saggio “Il mistero della Missione giapponese”: attualmente è in concorso al premio letterario “La Giara” della Rai e si gioca l’accesso alla finale nazionale dopo aver vinto la selezione regionale. L’altro, fresco di stesura, è un’opera del tutto diversa e lo si intuisce già dal titolo, “Le cento pozzanghere di piazza dei Crisantemi Gialli”. Racconta una storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza in un futuro non troppo lontano, il 2025, nel quale ho immaginato un mondo caduto sotto il dominio di una non meglio definita potenza orientale. Sperando siano presto pubblicati, ho comunque un quarto romanzo in fase d’avvio e parecchie altre idee da sviluppare.

 

Infine puoi consigliare ai tuoi e nostri lettori 5 libri che sono stati importanti nella tua vita di lettore, storico, giornalista e oggi, a pieno titolo, narratore?

Ce ne sarebbero molti di più, in realtà. Limitandomi ai romanzi sui quali mi sono formato come lettore, non posso non citare “La cruna dell’ago” e “I pilastri della Terra” di Ken Follett, “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern e “Maledetti da Dio” di Sven Hassel. Tra le letture degli anni più recenti mi ha particolarmente colpito “Trilogia della città di K.” di Agota Kristof. Ecco, sono già a quota sei. Allora, visto che ormai ho sforato, aggiungo anche il saggio storico “Overlord” di Max Hastings, sullo sbarco in Normandia, e la trilogia spirituale “Conversazioni con Dio” di Neale Donald Walsch.

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