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11 luglio 2012 3 11 /07 /luglio /2012 00:26

 

Racconta ai nostri lettori qualcosa di sé e del suo percorso di scrittrice? “Il mio inverno a Zerolandia” è il primo romanzo che pubblica? E’ anche l’unico che ha scritto?

Ho iniziato a scrivere alle medie, componendo brevi poesie, e da lì ho continuato a scriverne diverse. Della poesia mi ha sempre colpito la forma e le possibilità che all’interno di questa mostrava la lingua. Quello è stato per me una specie di cantiere. La prosa è venuta molto tempo dopo, con Zerolandia appunto che è il primo e unico romanzo che ho scritto.


Ne “Il mio inverno a Zerolandia”, lei racconta di una giovane donna (la diciassettenne Alessandra) alle prese con uno dei dolori più grandi della vita, la morte della madre, e del modo che trova per riuscire ad andare avanti. Zerolandia è il modo-luogo della sua rinascita e della speranza. Mi sembra di vedere un incitamento alla vita rivolto ai nostri ragazzi. Tutto ciò era voluto?

Sì, è proprio questo. Zerolandia è il modo-luogo della rinascita. Il modo, perché è necessario il ripiegamento su se stessi e il luogo, perché per farlo dobbiamo trovare uno spazio che ce lo permetta. Zerolandia è  azzeramento che è anche spaesamento e silenzio, necessari affinché affiori il ricordo, il dolore e infine la speranza. Ho voluto che fosse così fin dall’inizio. Molte cose  cambiano mentre si scrive un libro: il carattere di un personaggio ad esempio è facile che cambi mentre si scrive, Zerolandia è stato un punto fermo da subito, voluto perché mi affascinava quella specie di spazio bianco dove far accadere le cose che non si vedono. Quando ho impostato il romanzo era addirittura un luogo fisico, ma poi ho pensato che si poteva fare di meglio e lasciare che fosse il luogo invisibile e silenzioso che ci accoglie ogni volta che per ritrovarci dobbiamo necessariamente azzerare e far tacere il mondo intorno. E’ di sicuro un incitamento alla vita rivolto ai ragazzi, perché trovino quegli spazi necessari a riflettere, gli azzeramenti dove tutto ricomincia.


E la speranza? Che ruolo le dà nell’economia del racconto? Nonostante nel titolo ci siano le parole Inverno e Zerolandia, io vedo molta luce in questa storia.

Ce n’è tanta, anche nei momenti più cupi. La stessa Zerolandia è luminosa, non l’ho mai pensata come lo spazio grigio dell’esistenza. Per me la solitudine, il silenzio, sono di segno positivo, è questo che ho voluto dire, soprattutto ai ragazzi. Se vuoi ascoltare qualcuno, lo devi portare fuori dalla confusione, dal rumore e trovare quello spazio dove l’incontro diventa possibile.


Quando e come ha preso forma, dentro di lei, questa storia, dove ha trovato ispirazione? Esistono o sono esistiti nella sua vita una Zeta e uno Zero?

Ha preso forma anni fa, dopo la malattia e la morte di mia madre. Zero e Zeta sono esistiti nella misura in cui hanno entrambi qualcosa di me e qualcosa che avrei voluto essere e comunque sono giovani come tanti, con le loro difficoltà, i passi falsi, la loro ricerca della felicità e di una propria definizione.


Può dare ai nostri giovani e meno giovani lettori almeno tre motivi per leggere “Il mio inverno a Zerolandia”?

1 – per riflettere su ciò che ci spaventa, per non allontanare come cose fuori moda la solitudine e il silenzio

2 – perché la libertà non può essere omologazione, le vere sorprese arrivano quando concediamo uno spazio a ciò o chi consideriamo diverso

3 – perché una storia d’amore è sì un evento, ma soprattutto rispetto, conoscenza vera dell’altro e impegno


Alla base di un libro, di un film o di un’opera d’arte c’è un’idea, qualcosa che abbiamo la necessità di condividere. Ci può rivelare qual è stata la sua urgenza, ciò che l’ha spinta a scrivere e a  pubblicare?

La mia urgenza è stata quella di raccontare una perdita, poi subito dopo è arrivata Zerolandia, lo spazio dove fuggire, e infine mi sono chiesta: e adesso, a chi la faccio raccontare?


Il suo stile è piano, lineare, a volte un po’ ruvido, certamente di grande appeal. Quanto ha lavorato e rivisto il testo? Le chiedo questo perché la mia sensazione è stata che dietro all’apparente semplicità della narrazione ci sia stato un lungo e faticoso cammino.

Ho lavorato molto al testo, per me è stata una cosa non facile. Anche solo mantenere i due registri,  la scelta di alternare e creare un dialogo tra presente e passato. Zerolandia è stato il mio laboratorio. Più volte mi sono fermata, sono tornata indietro, l’ho riscritto, ho scelto con cura in alcuni passaggi la singola parola. Anche accorgersi che una cosa che ti piace molto però non funziona e ci devi rinunciare. Scrivere per me è stato anche non cedere alla lusinga, all’autocompiacimento.


E’ giusto definire “Il mio inverno a Zerolandia” un romanzo di formazione?

E’ anche un romanzo di formazione, sicuramente.


Infine può consigliare ai suoi e nostri lettori alcuni libri che per lei sono stati importanti? E per il pubblico più giovane cosa suggerisce?

Ai lettori in generale consiglio:

Cheever, I racconti, perché è lo scrittore delle cose indefinibili, di certi stati d’animo dolenti eppure impalpabili, quasi inconoscibili e poi perché il racconto è un genere che amo molto.

Vassilij Grossman, Tutto scorre, perché mi ha fatto riflettere su ciò che vuol dire la parola progresso, civiltà. Perché è un libro che parla di libertà, degli orrori che noi abbiamo scampato senza apprenderne la lezione.

Yann Martel, Vita di Pi, l’avventura, l’oceano, il profumo dello iodio ad ogni pagina, il rapporto assoluto, meraviglioso e feroce, con la natura e un animale.

Elisabetta Severina, Quarantatrè, un’eredità particolare per una storia di famiglia e un rapporto d’amore, scritto in una prosa bellissima.

Per i giovani lettori:

Mi chiedo quando ti mancherò, Amanda Davies, la storia di una violenza, di un alter ego ingombrante e dispotico. Una storia per capire che il peso del corpo è nei pensieri.

Marcello Argilli, Ciao, Andrea, il dialogo tra un ragazzo e un uomo, tra un padre e un figlio, tra la società con le sue regole e le sue sicurezze e la libertà, con i suoi rischi, con il suo respiro.

Jay Asher, 13, il contrasto tra apparenza e realtà, bugie, piccole cattiverie, l’ipocrisia come esercizio quotidiano. La storia di Hannah Baker, tra menzogna e innocenza, una ballata per riflettere sulle nostre ombre e la nostra indifferenza.

J.C. Oates, Bruttona & Lingualunga, un ragazzo tranquillo e normale, una ragazza tosta, lui bello e lei brutta, e un caso di isteria collettiva. L’intelligenza contro la stupidità, la solidarietà contro la violenza. E l’amore.

 

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