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14 novembre 2013 4 14 /11 /novembre /2013 22:28
A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. novembre 2013

Noi siamo quello che mangiamo. Ce lo dicono i nutrizionisti ad ogni occasione e credo che nessuno abbia più dubbi in proposito. La nostra alimentazione è fondamentale per la nostra salute. La scelta dei cibi che mangiamo condiziona il nostro benessere fisico. Siamo appunto quello che mangiamo. Se l’alimento non è sano, contaminato in qualche modo, le sostanze contamineranno anche noi e, nel tempo, la nostra salute ne risentirà. Da qui, sempre più diffusa e consapevole, diventa la cura con cui noi scegliamo il cibo. Non siamo più disposti a “mandar giù” di tutto. Abbiamo capito che ciò che ingoiamo di giorno in giorno influenzerà la nostra vita.

Ebbene, questo atteggiamento così saggio, così importante per noi, non viene adottato quando parliamo della nostra interiorità. Lì non ci preoccupiamo di quello che quotidianamente ingeriamo in parole, linguaggi, immagini, stili di vita, modi di dire, abitudini. Siamo indifferenti a quanto somministriamo alla nostra interiorità, non ce ne curiamo.

Come adulti noi siamo liberi di scegliere quello che vogliamo, senza costrizioni da parte di nessuno. Ma quando entrano in ballo i nostri figli siamo chiamati a riflettere con molta più attenzione sulle nostre scelte.

L’universo di un bambino è tutto da impostare, da costruire, si sta formando. La sua interiorità (e qui ognuno di voi dia l’interpretazione che desidera a questo termine così “pieno” di significato) è un fiore delicato che sta crescendo, sta maturando. Ha bisogno di accudimento e di concime. Allora diventa fondamentale avere cura di quello che noi proponiamo in termini di interiorità.

Siamo anche quello che quotidianamente, ripetutamente, giorno dopo giorno, vediamo e sentiamo. Gli stimoli comunicativi dettati da parole e immagini non possono essere ignorati.

Ecco allora che il genitore deve diventare vigile. Si deve chiedere in tutta onestà se il linguaggio che usa, le trasmissioni che mostra al figlio, le immagini che gli fa vedere siano il “cibo” che desidera per la sua creatura. Deve aver chiaro che sicuramente incide nella persona quello che quotidianamente e ripetutamente si vede e si sente.

Voglio portare alcuni semplici esempi, giusto per muovermi nel concreto.

Desidero che mio figlio cresca rispettoso, ma lo lascio serenamente guardare trasmissioni in cui l’insulto e la prepotenza sono alla base della comunicazione. Chi urla di più, chi usa di più la violenza e la prepotenza verbale emerge come vincente. Diventa quindi un modello, valorizzato dai media e perciò applicabile.

Anche il nostro linguaggio domestico è spesso colorito. Comunemente una parolaccia viene vista come un intercalare normale e si assottiglia sempre più la linea di demarcazione tra ciò che è rispettoso dell’altro e ciò che non lo è. Purtroppo l’uso di un certo linguaggio incide sull’idea di rispetto che si vuole insegnare: rispetto per la persona, per la sua fisicità, i suoi pensieri, la sua cultura, le sue origini…. Rispettare non significa condividere aspetti che non sono nostri, che non ci appartengono. Si può (e in certi casi si deve) dissentire da ciò che non si approva, ma lo si può fare appunto nel rispetto dell’altro.

Il rispetto si oppone alla violenza verbale o fisica, il rispetto non ospita mai la volgarità.

C’è un altro canale utilizzato dai bambini che alimenta non sempre nel modo corretto la loro interiorità. Parlo dei videogiochi e più precisamente della dipendenza da videogiochi, che si manifesta nel desiderio di passare ore e ore davanti al piccolo schermo. Sia chiaro che non sto demonizzando questo tipo di gioco, è mia intenzione far riflettere sul fatto che quando si consegna nelle mani di un piccolo un videogioco difficilmente ci si cura del suo contenuto comunicativo per poter essere in grado di approvarlo o meno. Non ci si preoccupa, inoltre, del tempo che il figlio passa al videogioco, pensando che esso sia un passatempo innocuo, ma non sempre è così, se non vengono rispettate alcune condizioni: visione del contenuto, tempo limitato di utilizzo.

In alcune situazioni, attraverso il videogioco esasperato consegniamo i nostri figli alla violenza e non ce ne rendiamo conto. Con una pistola virtuale i bimbi passano un tempo interminabile a sparare ad un nemico, ad un mondo di nemici da cui si deve difendere. In alcuni casi, se ci pensate, i bambini sono lasciati a questo gioco per ore, ora dopo ora. Il valore della vita si fa effimero, virtuale appunto, quasi inesistente. Per prima cosa viene tolta la sacralità all’esistenza, questa idea di inviolabilità che diventa anche una tutela per tutti. Questo concetto viene frantumato dall’obiettivo stesso del gioco, simile per altro ai giochi maschili fatti da sempre. Ma qui ci sono due elementi che vanno considerati: la solitudine con cui si gioca, il tempo (lungo) in cui il gioco diventa la realtà vissuta dal bambino. Finzione e realtà si mescolano, il confine si fa sottile e non è un caso che le cronache riportino di ragazzini che hanno impugnato un fucile e per i motivi più svariati hanno fatto stragi di innocenti. È stato dato loro cibo sbagliato per la loro interiorità, in misure sbagliate.

La vita reale non è un videogioco, la morte è un evento tragico accompagnato dalla sofferenza. Se un bambino percepisce questo della morte, facilmente, per contrapposizione, assimilerà il valore reale della vita e altrettanto facilmente ne avrà rispetto.

Torna il concetto di rispetto, così importante se si vuole educare i nostri figli alla convivenza con gli altri, ma prima ancora alla convivenza con se stessi.

Il rispetto è un valore e i valori sono i paletti che puntellano la nostra vita interiore.

Allora con attenzione scegliamo non solo cosa cucineremo per cena oggi, ma anche che tipo di cibo daremo in termini di interiorità ai nostri ragazzi, ricordandoci che quanto loro sentono o vedono, nel tempo si trasforma in cibo.

Buona scelta, buona qualità di vita con i vostri bambini.

Mariella Lunardi

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