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11 settembre 2013 3 11 /09 /settembre /2013 15:08
I guardiani di Faerie

Era la fine degli anni Settanta quando "La spada di Shannara" vide la luce.

Fu, in qualche modo, un evento. Quel primo romanzo di Terry Brooks, infatti, dimostrò agli editori che il genere fantasy poteva vendere, eccome se poteva vendere! e in un certo senso ha contribuito a sdoganare, almeno oltreoceano, un genere che non era considerato capace di diventare bestseller.

Come a voler confermare questo successo, ecco arrivare in libreria "I guardiani di Faerie", il primo romanzo di una nuova trilogia che si svolge proprio nel mondo di Shannara.

Sono almeno una ventina, ormai, i romanzi legati a questa serie eppure non si sente il peso dell'età.

"I guardiani di Faerie" è infatti un romanzo di cerca, e cioè legato alla ricerca di un qualcosa, che parte lentamente per poi arrivare a continue scene d'azione. E' un romanzo frizzante, un page-turner che non si vorrebbe più posare sul comodino.

E' un classico romanzo fantasy, in cui i Druidi, quelli che potremmo vedere come i guardiani della magia, scoprono qualcosa che potrebbe aiutarli a trovare degli antichi artefatti magici. Recuperarli, però, sarà più difficile del previsto, specialmente perché le razze delle Quattro Terre sono sempre più inquiete. La magia è stata lasciata da parte per abbracciare la tecnologia, una tecnologia che sa di armi e di guerre in arrivo. E i druidi rappresentano qualcosa in cui ormai sono in pochi a credere.

Parte quindi un'avventura in cui il divertimento si mescola a spunti per riflettere su una questione forse troppo attuale nel nostro, di mondo: il progresso tecnologico, le armi e, al posto della magia, la fede e la religione.

Terry Brooks dimostra, con questo romanzo, di non aver perso colpi e di essere anzi uno dei maestri indiscussi del fantasy contemporaneo.

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29 agosto 2013 4 29 /08 /agosto /2013 14:35

Natasa Dragnic si era affacciata al mondo della letteratura un paio d'anni fa, quando aveva esordito con "Ogni giorno, ogni ora", un romanzo d'amore. Il sentimento raccontato in quel primo libro, però, non era un amore felice e appassionato, sdolcinato, ma piuttosto il tentativo di due cuori di riuscire a stare vicini, assieme. Tentativo che non è riuscito a far sbocciare la felicità, non del tutto.


Ora Natasa prova a bissare quel successo con "Ancora una volta il mare", un libro che sicuramente attinge a piene mani dal suo predecessore, riuscendo però a creare qualcosa di diverso.

La storia ruota attorno a tre sorelle, alla loro famiglia e al loro amore per uno stesso uomo, Alessandro. Questo sentimento condiviso sarà ovviamente la causa di profondi cambiamenti nella vita di tutti e il motore che permetterà di scoperchiare emozioni e pensieri lasciati troppo a lungo sopiti.

Anche in questo caso ci troviamo dinanzi a una storia che racconta di un amore non facile, anzi, piuttosto burrascoso e astioso, ma con una particolarità: fin dall'inizio sappiamo che una delle tre sorelle riuscirà a sposare Alessandro. Chi? Roberta, Lucia o Nannina?
Lo si scoprirà solo alla fine, e forse proprio per questo motivo non si riesce a staccare gli occhi dai capitoli, che corrono in bilico tra il passato e il presente, che ci raccontano le peripezie di tre giovani donne, dei loro amori e della loro famiglia.
Già, la famiglia. L'altro punto fondamentale del romanzo. La famiglia è qui un piccolo affresco che mostra il grande amore che può esserci tra le persone, ma anche gli infiniti e terribili sbagli che si possono commettere come genitori, amanti o figli. Questa famiglia ci mostra le gioie e i dolori della vita, ci accompagna in un percorso che parte dalla nascita e arriva alla morte. Ci mostra entrambi i lati della medaglia, quei lati che ognuno di noi è destinato a vedere, in un modo o nell'altro. E il tutto è ben 'pennellato', dallo stile poetico della Dragnic, quello stesso stile che aveva reso forte il primo romanzo, che usa frasi brevi, pensieri, che mescola la narrativa alla musicalità, rendendo certi capitoli quasi una poesia.

"Ancora una volta il mare" è un romanzo che fila via liscio, che parla d'amore partendo dal dolore e dalla rabbia e che utilizza una scrittura emotiva e coinvolgente. E come il mare, ci mostra che la vita è calma... e tempesta.

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8 agosto 2013 4 08 /08 /agosto /2013 22:00
Libro del mese agosto 2013: "I ragazzi Burgess" Elizabeth Strout

A cinque anni di distanza dal grande successo di Olive Kitteridge, Premio Pulitzer 2009, Elizabeth Strout ci regala un grande romanzo corale sull’essere fratelli e sull’inesorabile richiamo della famiglia e delle radici. I ragazzi Burgess, come vengono chiamati Jim, Bob e Susan, sono nati a Shirley Falls, nel Maine, e sono cresciuti in una piccola casa gialla in cima a una collina, in un angolo di continente appartato. Da adulti si sono allontanati, ognuno a scacciare il ricordo di un antico dramma familiare mai spento. Lassù è rimasta solo Susan, mentre gli altri due vivono a Brooklyn, New York. Nei Burgess si possono scorgere tre anime distinte e tanto diverse che è quasi impensabile immaginarli nella stessa foto di famiglia. Eppure, quando inizia questa storia, Susan chiama e chiede aiuto proprio a Bob e Jim: suo figlio, loro nipote, è nei guai. E allora non solo i tre fratelli sono costretti a riavvicinarsi, a dividere la preoccupazione e a tentare di ricomporre un trauma che alimenta ogni minima increspatura della loro intimità, ma sono anche travolti da una rivoluzione privata che implica, per tutti, il progetto di una nuova vita. L’ultimo romanzo di Elizabeth Strout è un’istantanea scattata nel momento esatto in cui le fragilità affettive escono allo scoperto mostrando tutta la complessità dei legami indissolubili. La sottile accortezza narrativa, che si manifesta in dettagli minuti quanto necessari, riesce a illuminare i più esili movimenti dell’animo e a scandagliare l’oscillazione perpetua della nostra emotività.

Elizabeth Strout è tra le più importanti autrici statunitensi contemporanee. È nata a Portland, nel Maine, nel 1956 e da quasi trent’anni si è stabilita a New York. Fra i molti premi letterari ricevuti, il Premio Pulitzer nel 2009, il Premio Bancarella nel 2010 e il Premio Mondello nel 2012. Dell’autrice Fazi Editore ha pubblicato Amy e Isabelle, Resta con me e Olive Kitteridge. La produzione televisiva americana Hbo ha annunciato la lavorazione di una miniserie ispirata a Olive Kitteridge i cui protagonisti sono gli attori Frances McDormand e Richard Jenkins.

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19 luglio 2013 5 19 /07 /luglio /2013 21:47
Intervista a Sara Rattaro, autrice di "Non volare via"

Due lauree, una in ambito scientifico e un’altra in quello della comunicazione e poi la scrittura. Una vita ricca di esperienze e di scelte. Ce ne vuoi parlare?

Più che altro è la vita di una che non ha capito in fretta cosa voleva fare da grande così ne ho provate diverse con più o meno successo. La scrittura ha finalmente placato la mia ansia e ora so cosa voglio fare: scrivere.

Possiamo dire che la scrittura, per te, non è più solo un hobby, ma un mestiere vero e proprio?

Certo! Lo è eccome. Scrivere e promuovere un romanzo è un vero e proprio lavoro con scadenze, appuntamenti e tanto impegno.

Dopo “Un uso qualunque di te” hai scritto un altro romanzo (Non volare via – Garzanti) in cui l’essere umano, sia uomo o donna, deve confrontarsi con le proprie debolezze, con le scelte del passato e con quelle presenti e, soprattutto con le persone che con lui condividono la quotidianità. Leggendo i tuoi romanzi si direbbe appunto che ciò che vuoi raccontare è l’animo umano, è così? E qual è il lavoro che fai per rendere veri i tuoi personaggi?

Si, l’animo umano è il mio vero protagonista con i suoi limiti e la sue forze. Il lavoro migliore che faccio per rendere i miei personaggi credibili sulla carta è quello di osservare e ascoltare le persone vere. Lo faccio da moltissimo tempo e soprattutto cerco di capire cosa farei io se mi trovassi in certe situazioni. È un ottimo esercizio di comprensione.

La voce narrante di “Non volare via” è Alberto, il papà di Matteo e Alice e il marito di Sandra. Perché hai fatto questa scelta ed è stato difficile entrare nel mondo maschile?

Ho accettato la sfida, con me stessa, di dimostrarmi che sapevo fare la narratrice e che potevo spaziare anche in campi meno immediati di quelli che ho a disposizione. Quando ho iniziato a scrivere Alberto sono stata assalita dalla paura di non farcela e che lui parlasse al femminile in un modo poco credibile. Poi ho capito che se avessi messo d’accordo la paura che provavo di non farcela alla voglia di superarmi, avrei raccontato un uomo autentico.

E Matteo? Chi è? Vuoi spiegarlo ai nostri lettori?

Un ragazzino che ci dimostra che per essere straordinari non è necessario essere perfetti ma avere vicino qualcuno di cui fidarsi.

Da libraia le chiedo quali sono le storie che la attraggono quando deve scegliere cosa leggere?

Amo leggere le storie che avrei voluto scrivere, i grandi romanzi con trame che affrontano il quotidiano e le sue asperità, che parlano di vita. Mi rammarico di arrivare seconda ma questo lo trovo stimolante.

Puoi consigliare ai nostri lettori, giovani e meno giovani, qualche lettura per l’estate?

Vi consiglio “Borgo Proprizio” di Loredana Limone

“Buona Fortuna” di Barbara Fiorio

“La bambina con i capelli di luce e di vento” di Laura Bonalumi.

Tre storie bellissime, tutte da leggere!!

grazie

Intervista a Sara Rattaro, autrice di "Non volare via"
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10 luglio 2013 3 10 /07 /luglio /2013 14:30
Andrea Molesini, dopo “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, Premio Campiello e Premio Comisso 2011, torna in libreria con “La primavera del lupo”, romanzo solido e convincente che conferma le grandi doti e la profonda formazione dell’autore. E’ il marzo del 1945, in una piccola isola nel centro della laguna di Venezia nel convento di San Francesco del Deserto, si nascondono due anziane sorelle ebree Maurizia e Ada Jesi e un bambino ebreo, Dario, che sta zitto e sa i numeri. Con loro trova rifugio nel convento un altro bambino di dieci anni, Pietro, che è l’acuto e già maturo narratore della vicenda. Oramai scoperto dai nazisti, il gruppo è costretto alla fuga e, in un primo momento, prende la via del mare aiutato da un frate energico, Padre Ernesto, da una suora bella giovane e dai modi sospetti, Suor Elvira e da un pescatore coraggioso, saggio e coi capelli rossi che Pietro chiama Lirlandese. Nei risvolti tragici della fuga che presto dovrà lasciare il mare e proseguire sulla terra ferma, si unisce ai fuggiaschi un tedesco dall’agire determinato e duro, forse un disertore, certamente qualcuno che custodisce un segreto pericoloso. Inseguiti dai tedeschi allo sbando, da fascisti disorientati, da partigiani e disertori, la loro fuga procede tra rischi e speranze, violenze e atti di bontà. Molesini attraverso la voce di Pietro, infantile e semplice, divertente e sgrammaticata, dipinge un affresco toccante che rimarrà a lungo nel cuore e nella memoria di ogni lettore.

Andrea Molesini, dopo “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, Premio Campiello e Premio Comisso 2011, torna in libreria con “La primavera del lupo”, romanzo solido e convincente che conferma le grandi doti e la profonda formazione dell’autore. E’ il marzo del 1945, in una piccola isola nel centro della laguna di Venezia nel convento di San Francesco del Deserto, si nascondono due anziane sorelle ebree Maurizia e Ada Jesi e un bambino ebreo, Dario, che sta zitto e sa i numeri. Con loro trova rifugio nel convento un altro bambino di dieci anni, Pietro, che è l’acuto e già maturo narratore della vicenda. Oramai scoperto dai nazisti, il gruppo è costretto alla fuga e, in un primo momento, prende la via del mare aiutato da un frate energico, Padre Ernesto, da una suora bella giovane e dai modi sospetti, Suor Elvira e da un pescatore coraggioso, saggio e coi capelli rossi che Pietro chiama Lirlandese. Nei risvolti tragici della fuga che presto dovrà lasciare il mare e proseguire sulla terra ferma, si unisce ai fuggiaschi un tedesco dall’agire determinato e duro, forse un disertore, certamente qualcuno che custodisce un segreto pericoloso. Inseguiti dai tedeschi allo sbando, da fascisti disorientati, da partigiani e disertori, la loro fuga procede tra rischi e speranze, violenze e atti di bontà. Molesini attraverso la voce di Pietro, infantile e semplice, divertente e sgrammaticata, dipinge un affresco toccante che rimarrà a lungo nel cuore e nella memoria di ogni lettore.

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9 luglio 2013 2 09 /07 /luglio /2013 15:17
La stessa città, ma due epoche diverse. La città è Venezia, nella sua più grande magnificenza e nella sua attuale decadenza, che continua comunque a spargere meraviglia nei cuori di chi la visita. Le epoche sono la fine del Quattrocento e l'età moderna. Cosa potrà mai accomunare questi due periodi? Semplice, una famiglia e un cavallo, quello raffigurato nella statua equestre del Colleoni, che nella città lagunare sfoggia la sua eleganza.   "Due belle sfere di vetro ambrato" ci racconta la storia di questo cavallo, che tanto destò la meraviglia del Colleoni da volerlo come modello per la sua statua. Un cavallo talmente magnifico che nemmeno da morto avrà pace, visto che una bellissima biologa russa, tale Eva Kant (sì, come quella di Diabolik), vuole cimentarsi in un'impresa impossibile: clonarlo.   Con una scrittura bellissima, curata e ritmata, l'autore ci porta a passeggio nella Venezia di fine Quattrocento, tra cavalli, dogi e l'arte di Leonardo Da Vinci, che alla Serenissima si recherà proprio per via del cavallo. E in un misto tra romanzo di fantasia, storico e giallo il lettore non può far altro che abbandonarsi all'avventura, annuendo alle colte citazioni a tema ippico del protagonista moderno, cavalcando in riva al mare e facendosi una sola, grossa domanda: cosa ci sarà nascosto dentro queste due belle sfere di vetro ambrato?

La stessa città, ma due epoche diverse. La città è Venezia, nella sua più grande magnificenza e nella sua attuale decadenza, che continua comunque a spargere meraviglia nei cuori di chi la visita. Le epoche sono la fine del Quattrocento e l'età moderna. Cosa potrà mai accomunare questi due periodi? Semplice, una famiglia e un cavallo, quello raffigurato nella statua equestre del Colleoni, che nella città lagunare sfoggia la sua eleganza. "Due belle sfere di vetro ambrato" ci racconta la storia di questo cavallo, che tanto destò la meraviglia del Colleoni da volerlo come modello per la sua statua. Un cavallo talmente magnifico che nemmeno da morto avrà pace, visto che una bellissima biologa russa, tale Eva Kant (sì, come quella di Diabolik), vuole cimentarsi in un'impresa impossibile: clonarlo. Con una scrittura bellissima, curata e ritmata, l'autore ci porta a passeggio nella Venezia di fine Quattrocento, tra cavalli, dogi e l'arte di Leonardo Da Vinci, che alla Serenissima si recherà proprio per via del cavallo. E in un misto tra romanzo di fantasia, storico e giallo il lettore non può far altro che abbandonarsi all'avventura, annuendo alle colte citazioni a tema ippico del protagonista moderno, cavalcando in riva al mare e facendosi una sola, grossa domanda: cosa ci sarà nascosto dentro queste due belle sfere di vetro ambrato?

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9 luglio 2013 2 09 /07 /luglio /2013 15:01

Perche' leggere a voce alta ai nostri figli? Perché dover trovare, nella frenesia delle nostre giornate, un tempo per la lettura?

Individuare una motivazione forte per anteporre la lettura alle molteplici incombenze che quotidianamente bussano alla porta dei nostri impegni è fondamentale. Ma deve essere una motivazione importante, di un certo peso, che ci spinga a mettere da parte lavori domestici, impegni fuori casa, doveri vari; una motivazione che faccia spazio appunto alla lettura.

Allora vediamo insieme dove possiamo cercare una motivazione di tale efficacia da smuovere le nostre abitudini.

Abbiamo molti beni: materiali, economici, di varia natura. Per un genitore, comunque, il bene per eccellenza resta il proprio figlio. Amiamo i nostri bambini con tutto il nostro cuore e, ne sono certa, siamo disposti a fare qualsiasi cosa per loro.

Il punto è questo: esistono delle priorità nel nostro “fare” per i nostri figli?

Sicuramente l’accudimento fisico, scolastico, educativo è una priorità irrinunciabile. La cura, la protezione sono un obbligo nei confronti di un minore e diventano una gioia se rivolte a un figlio.

Ma all’interno dei mille gesti che quotidianamente compiamo per accudire i nostri bambini, la relazione affettiva occupa uno spazio sempre più ristretto. Siamo troppo presi dalle incombenze pratiche, siamo in affanno di tempo e ci preoccupiamo principalmente che tutti i bisogni materiali vengano soddisfatti: mangiare, vestire, attività fisica, compiti scolastici…

In questo vortice di azioni, per altro fondamentali, corriamo il rischio di dimenticarci che la relazione ha fame di tempo, ha sete di attenzione, è ingorda di dialogo. La relazione ci vuole fisicamente, richiede la nostra attenzione, la disponibilità d’animo a matterci in contatto con l’altro, il tempo per l’ascolto, l’incontro fisico, le conversazioni del cuore…

In poche parole la relazione dice a gran voce:”Io ci sono, sono per te.”

Allora la lettura, nel nostro quotidiano, diventa uno strumento della relazione. Leggere a voce alta ai nostri figli non è solo un’opportunità culturale che offriamo(tutti conosciamo i benefici della lettura nell’istruzione di un bambino). Leggere si fa spazio relazionale: io e mio figlio di fronte a un libro. Tutto si trasforma: un tempo magico per entrare nelle storie, una voce calda per accompagnare il piccolo nel mondo dei sogni, una presenza fisica che penetra nel mondo dell’infanzia e si fa a misura di bimbo per viaggiare con lui nella fantasia degli intrecci dei racconti.

È un tempo straordinario, prezioso, dove le distanze tra adulto e minore si annullano perché navigano insieme, genitore e figlio, nella dimensione fantastica del sogno, del tutto possibile, dell’irrazionale: la dimensione appunto delle storie.

Ma c’è di più. I racconti diventano terreno fertile per porre domande, instaurare un dialogo, confrontarsi proprio utilizzando il contenuto dei racconti letti. Ogni storia porta con sé un messaggio, non è un racconto vuoto, ci parla, dice cose, fa riflettere. Noi possiamo utilizzare proprio i messaggi delle storie per parlare con i nostri figli. Lo facciamo in un terreno a loro familiare: le avventure dei personaggi. Allora il dialogo diventa più semplice e indagare nel mondo affettivo meno faticoso.

Hai a volte paura anche tu come il protagonista della storia?

Ti senti rifiutato anche tu come è successo a lui?

Oppure ti capita di rifiutare qualcuno?

Quando sei stato coraggioso come il protagonista?

Sono solo alcuni esempi delle proposte di dialogo che possiamo instaurare utilizzando le storie. Un dialogo che non è più basato sul fare: hai fatto i compiti, hai mangiato, ti sei vestito? È un dialogo che si basa sull’essere: come ti senti, hai delle paure, hai dei sogni?

Allora sì che il nostro tempo si fa pregnante di relazione perché noi non siamo mai quello che facciamo, siamo sempre quello che proviamo.

Buona qualità di vita con i vostri figli. Mariella Lunardi

A spasso con i buoni pensieri di Mariella Lunardi. Giugno 2013.
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7 luglio 2013 7 07 /07 /luglio /2013 19:25
Incontro con l'autore: Andrea Molesini presenta "La primavera del lupo"

Andrea Molesini è nato a Venezia il 28 dicembre 1954. Per Mondadori ha scritto fiabe e romanzi per ragazzi. 1990: Premio Andersen per il libro Quando ai veneziani crebbe la coda (Mondadori 1989). 1999: Premio Andersen alla carriera. Ha scritto saggi e tradotto libri di poesia per Mondadori e per Adelphi. 2008: Premio Monselice per la traduzione letteraria. Il suo romanzo, Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio 2010) è tradotto in francese, tedesco, spagnolo, norvegese, olandese e sloveno, ed uscirà in inglese, angloamericano, ungherese e danese nel 2014. 2011: Premio Campiello, Premio Comisso, Premio Città di Cuneo Primo Romanzo, Premio Latisana per il Nord-Est. La primavera del lupo (Sellerio 2013) è il suo secondo romanzo.

 

Andrea Molesini, dopo “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, Premio Campiello e Premio Comisso 2011, torna in libreria con “La primavera del lupo”, romanzo solido e convincente che conferma le grandi doti e la profonda formazione dell’autore. E’ il marzo del 1945, in una piccola isola nel centro della laguna di Venezia nel convento di San Francesco del Deserto, si nascondono due anziane sorelle ebree Maurizia e Ada Jesi e un bambino ebreo, Dario, che sta zitto e sa i numeri. Con loro trova rifugio nel convento un altro bambino di dieci anni, Pietro, che è l’acuto e già maturo narratore della vicenda. Oramai scoperto dai nazisti, il gruppo è costretto alla fuga e, in un primo momento, prende la via del mare aiutato da un frate energico, Padre Ernesto, da una suora bella giovane e dai modi sospetti, Suor Elvira e da un pescatore coraggioso, saggio e coi capelli rossi che Pietro chiama Lirlandese. Nei risvolti tragici della fuga che presto dovrà lasciare il mare e proseguire sulla terra ferma, si unisce ai fuggiaschi un tedesco dall’agire determinato e duro, forse un disertore, certamente qualcuno che custodisce un segreto pericoloso. Inseguiti dai tedeschi allo sbando, da fascisti disorientati, da partigiani e disertori, la loro fuga procede tra rischi e speranze, violenze e atti di bontà. Molesini attraverso la voce di Pietro, infantile e semplice, divertente e sgrammaticata, dipinge un affresco toccante che rimarrà a lungo nel cuore e nella memoria di ogni lettore.

 

Modera l'incontro Francesco Carmignan

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18 giugno 2013 2 18 /06 /giugno /2013 11:44

​Raccontare il rapporto padre-figlio è sempre una cosa complicata. Vuoi perché la società, almeno fino a poco tempo fa, vedeva i figli come cose "da donne". Vuoi perché l'uomo tende a mostrare meno l'affetto, o comunque in maniera meno fisica. Fatto sta che se ne è sempre parlato poco, e in quel poco c'era sempre stato il problema del cosa dire.

Se alle normali difficoltà si aggiunge poi la prematura morte di una madre, ecco che questo legame di sangue e dolore diventa un qualcosa di veramente complesso e denso di molti significati.
Sarà forse per questo che, per raccontarlo, Matteo Righetto ha deciso di scrivere una storia di montagna e natura selvaggia. Una natura che tenta di essere domata, ma che risulta più forte del previsto. Una natura che fa paura, che sa uccidere e dimostrarsi ingiusta, e che diventa metafora perfetta per una famiglia emotivamente in difficoltà.

Nascosta tra pagine scritte in maniera semplice, diretta e quasi poetica, ne "La pelle dell'orso" c'è una storia crudele e intensa, che raggiunge apici d'amore proprio nei momento più cruenti. Un capacità bellissima, questa dell'autore, di saper fondere così bene i momenti più crudi con le emozioni più positive.
Ed ecco allora che un orso diabolico e il tentativo di ucciderlo diventano, per padre e figlio, lo spunto per rialacciare dei rapporti che non erano mai stati davvero interrotti, ma che avevano sofferto il dolore della vita. Ecco che i paesini dispersi tra le dolomiti diventano sfondo ideale per raccontare della solitudine dell'uomo e delle difficoltà dei rapporti umani. Ed ecco che le montagne diventano scenario per una storia di amore e di dolore, perché la montagna, come la vita, è così: stupenda, indescrivibile e crudele.

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13 giugno 2013 4 13 /06 /giugno /2013 00:58
Incontri d'autore: Donato Carrisi presenta "L'ipotesi del male"-

C’è una sensazione che tutti, prima o poi, abbiamo provato nella vita: il desiderio di sparire. Di fuggire da tutto. Di lasciarci ogni cosa alle spalle. Ma per alcuni non è solo un pensiero passeggero. Diviene un’ossessione che li divora e li inghiotte. Queste persone spariscono nel buio. Nessuno sa perché. Nessuno sa che fine fanno. E quasi tutti presto se ne dimenticano. Mila Vasquez invece è circondata dai loro sguardi. Ogni volta che mette piede nell’ufficio persone scomparse – il Limbo – centinaia di occhi la fissano dalle pareti della stanza dei passi perduti, ricoperte di fotografie. Per lei, è impossibile dimenticare chi è svanito nel nulla. Anche perché la poliziotta ha i segni del buio sulla pelle, come fiori rossi che hanno radici nella sua anima. Forse per questo Mila è la migliore in ciò che fa: dare la caccia a quelli che il mondo ha dimenticato. Ma se d’improvviso alcuni scomparsi tornassero con intenzioni oscure? Come una risacca, il buio restituisce prima gli oggetti di un’esistenza passata. E poi le persone. Sembrano identici a prima, questi scomparsi, ma il male li ha cambiati. Alla domanda su chi li ha presi, se ne aggiungono altre. Dove sono stati tutto questo tempo? E perché sono tornati? Mila capisce che per fermare l’armata delle ombre non servono gli indizi, non bastano le indagini. Deve dare all’oscurità una forma, deve attribuirle un senso, deve formulare un’ipotesi convincente, solida, razionale... Un’ipotesi del male. Ma per verificarla non c’è che una soluzione: consegnarsi al buio.

 
Donato Carrisi è nato nel 1973 a Martina Franca e vive a Roma. Dopo la laurea in Giurisprudenza, si è specializzato incriminologia e scienza del comportamento per poi diventare sceneggiatore di serie televisive e per il cinema. È una firma del Corriere della Sera ed è l’autore di romanzi bestseller internazionali. Ha vinto prestigiosi premi fra cui il Bancarella in Italia, il Prix Polar e il Prix Livre de poche, il più importante premio dei lettori in Francia
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